Il Flusso

The Map

Wednesday, December 21, 2011

Location Scouting


In queste ultime settimane mi stò preparando mentalmente a quello che dovrebbe essere l'esercizio finale della mia scuola: un corto. La parola è grande e la paura pure. Anche perchè sbagliare completamente un lavoro del genere è facilissimo, quasi difficile non farlo, soprattutto con una non preparazione come la nostra. Non riesco a capire ancora quale sia il livello richiesto, anche perchè i mezzi sono davvero pochi e mi piacerebbe girare con una persona sola, Raquel, un ragazza madrilena della mia età con tanta esperienza in regia e, soprattutto, in produzione (per chi capisse lo spagnolo, qui il suo blog). Lei è la mia scuola, imparo di più discutendo con lei, scambiando i nostri pareri su film (Lars, se ti fischiano le orecchie, siamo noi) che seguendo i corsi della nostra "super" oh yeah scuola di new york. Mi sono accorta che mi conforta, rassicura ciò che conosco, ciò che ho già visto. Come location (ma come parlo?) del primo esercizio ho scelto le scale di un palazzo vicino a dove abitiamo, qui ad Harlem. Venerdì, data del mio secondo esercizio, filmerò il nostro vicino Norman e suo nipote Michael (e forse il cane bulldog che mi fa tanto paura ma è tanto bello). Dovrò salire di quattro piani. Non devo andare molto lontano quindi. Ma in quattro piani il viaggio è grande, non ripeto la storia della semplicità, ma lo penso continuamente. Ho deciso di chiamare ogni esercizio "La solitudine della loro espressione" cambiando solo il numero (#1, #2, ecc) , spunto, tratto liberamente da un racconto di Maeve Brennan, scrittrice niuiorchese a quanto pare molto famosa (prima di perdesi nella sua solitudine e depressione). Il racconto inquietante sulla solitudine mi attira, anche perchè di inquietante non c'è molto, se non la solitudine stessa come elemento difficile da mostrare (secondo il mio acting course: mai dare un risultato di un'emozione ad un attore, ma sempre il processo, l'azione per raggiungere un dato stato, lo stato stesso se lo crea l'attore. Quindi chiedere a Dario, il mio primo attore-cavia di fare una faccia triste, è stato l'inizio dell'errore... !). Come i luoghi che evocano solitudine mi attirano. Settimana prossima inizierò a cercare i posti da filmare, non ce la faccio proprio ad immaginarmi a filmare in città. Intanto, dalla finestra di casa, la vista è singolare, e mi ispira giorno dopo giorno. Anche solo queste finestre mi basterebbero, se solo potessi introdurci qualcuno...

Monday, December 19, 2011

Tre concerti

Questo weekend abbiamo assistito a tre concerti. Senza esagerare, ma uno più spaventosamente bello dell'altro. In ordine cronologico.

Venerdì sera decidiamo con Raquel, una compagna di classe spagnola di Aline, di diregerci al Glasslands Gallery, dove ero già andato a vedere un altro concerto. Ci suona Lee Ranaldo, il chitarrista dei Sonic Youth con il suo progetto solo. Dopo una birra a Williamsburgh andiamo alla sala, ma é presto. Decidiamo quindi di andare a mangiare mentre suonano i primi due gruppi, che nuncefrega. L'unico posto nei paraggi é il Williamsburger; indovinate un po' cosa si mangia? Gnam! Entriamo e ci sediamo e Aline fa: "Ma quello non é il batterista dei Sonic Youth (Steve Sheley)?" e lì di fianco c'é Lee Ranaldo che si mangiano tranquillamente un Hamburgerone come il nostro prima del loro concerto. Vorrei chiedergli mille cose, ma poi so che non riuscirei ad aprire bocca o a dire solo "Grazie!" allora lascio perdere. Vorrei pure fare una foto con loro intorno all'albero di Natale kitschissimo, ma non ce la faccio. Ci aspettavamo una cosa sperimentale, e invece il gruppo suona canzoni rock, alla Sonic Youth, vecchie e nuove. Il CD uscirà a marzo e io me lo preordino già. Non si sa se i Sonic continueranno a suonare, ma Ranaldo sa bene dove andare e cosa fare. E lo fa molto bene. Ho sempre pensato che fosse un rifinitore nei Sonic, uno che se ne sta dietro e segue, ma dopo avere sentito il suo concerto penso che il suo ruolo sia alla pari degli altri membri, se non più importante a livello di composizione. In ogni caso sentire metà dei Sonic Youth (Steve Shelley era alla batteria) in una saletta così piccola, con sonorità pressoché simili é stato abbastanza da pelle d'oca.

Sabato sera. In settimana avevo visto che suonavano i Dirtbombs aggratis, bastava mandare una mail: figata! Fatto, e fatto fare pure ad Aline e Dario che mi danno fiducia. Non vorrei arrivare in ritardo "Perché ci tengo a vedere sto concerto" e quindi siamo lì un'ora prima. E il posto é ancora chiuso, o c'era un altro concerto prima, boh. Andiamo a bercene una e quando torniamo la fila si é già formata. Ci mettiamo in fila, per una buona oretta a -4 gradi Celsius e finalmente ci fanno entrare, mezzi assiderati. Il primo gruppo fa proprio schifo. Hanno un sacco di capelli ma é tutto quel che c'é. Dopo un rhum & cola e un bicchiere di pop-corn (che accoppiata vincente!) iniziano i Dirtbombs, che un nome più adatto, non potevano trovarlo. Sono sporchi e ci lanciano addosso le bombe. Due batterie, due bassi e cantante chitarrista nero-gigante in mezzo. Macinano un pezzo dietro l'altro in un misto di punk, hardcore, blues e potenza. Ci sentiamo come a un concerto dei Dirtbombs a New York: yeah! Dopo un paio di bis e un finalone con assolo - trash di batteria interminabile il concerto finisce, e siamo sazi. Non manca niente. Solo la sciarpa di Aline (ca%*o!) e qualche ora di sonno. zzzz.

Domenica pomeriggio. Poteva finire così che già eravamo contenti, ma no. A due passi da casa nostra vive una signora, anzi, la Signora Marjorie, che ogni domenica alle 4PM apre la porta di casa sua e invita tutti quanti maschi-femmine-cantanti ad assistere a un concerto nel suo salotto. Già la cose detta così ci esaltava non poco. Con tre amici conosciuti ad una festa decidiamo di andare a vedere com'é. Arriviamo all'edificio ed é un vecchio building di Harlem in brownstones, bellissimo e massicio. Il super (il portiere) ci dice che é al 3f, sapendo già perché siamo lì nel suo palazzo. Ci andiamo, bussiamo ed entriamo e ci accoglie Marjorie, con una sua amica che ci fa di sederci che adesso arriva altra gente e i musicisti, di prendere posto. Ci sediamo. Arriva altra gente, tutti vestiti di scuro. Harlem + domenica = giorno del Signore = vestirsi bene. Io ho su un maglione di lana arancione che più sgargiante di così non si può. Mi sento leggermente osservato, ma vabé. Chissefrega. Quando il salotto, la cucina e il corriddoio sono pieni Marjorie attacca con un pezzo al piano. Poi entra il figlio e canta con una voce che avevo sentito uscire solo dal giradischi di mio nonno Luciano. Arrivano pure un saxofonista - clarinettista che duettano con il piano e poi entra il contrabbassista, un vecchietto mezzo cieco. È un susseguirsi di emozioni una più intensa dell'altra, lì a un metro da noi un concerto per pochi intimi, senza un microfono senza niente, solo gli strumenti e l'energia che non potrebbe lasciar indifferente nessuno, ma proprio nessuno. Il figlio passa al piano e lo suona da dio. Nel primo atto si susseguono pezzi classici jazz, con assoli vari alternati dei tre strumentisti. Nella pausa si raccolgono offerte del pubblico, si beve succo di mela e si mangiano biscotti. Ma cosa vuoi di più? Poi riattaccano con la stessa intensità di prima. Si alternano pezzi tristi piano e voce, e pezzi allegri e veloci con tutta la band. Hai appena smesso di piagnucolare sul pezzo triste che già ti ritrovi come uno scemo a battere le mani su quello dopo. Alcune canzoni di Natale e parte pure il coro del pubblico, quelli che sanno le parole chiaramente. L'apice del concerto é un pezzo solo del contrabbassista con l'archetto (abbiamo poi scoperto che si tratta di Bob Cunningham, un pezzo di storia dell jazz nero di Harlem). Ci fa un pezzo che lascia tutti a bocca aperta, tra l'estasi e lo stupore. Aline voleva filmare ma non ce l'ha fatta, si é bloccata prima. Saranno cose banali, ma in quel momento ho pensato che questo é il succo della vita; le emozioni che ti inchiodano alla sedia. Le cose che succedono e che più passa il tempo e ci pensi, più acquistano di forza e di significato. Sono le cose che si ricordano con intensità e che hanno un significato universale, anche se poi ognuno la vive come vuole. Ho capito che le emozioni che si possono provare sono infinite e che sono tutte dentro di noi. Bisogna solo andarle a cercare e tirarle fuori con dei media, come può esserlo il nostro contrabbasista. Dopo un altro paio di canzoni di Natale e un reading di un'altra tizia che implora il "Lord" (mi sono quasi convertito)(ho detto quasi) il concerto finisce. Marjorie ringrazia tutti per l'entusiasmo e l'energia che abbiamo portato in casa sua. Tutti ne hanno tratto qualcosa, tutti han vissuto un momento incredibile. Marjorie ha perso suo marito 3 settimane fa e lui e il figlio sono qui a cantare per noi. Ecco. Questi hanno tutti il nostro rispetto e la nostra stima, questa gente affronta tutto con la musica, é la loro religione. Ce ne torniamo a casa in silenzio, é domenica sera ad Harlem e ci sentiamo vivi.

NB: il video di Ranaldo non l'ho fatto io
PS: seguiranno edit con foto e forse video

Lee Ranaldo
Il ruhm&cola e i popcorn... sfocati!


The dirtbombs con una piega da dinosauri.


Da Marjorie



Wednesday, December 14, 2011

A visa trip to Canada, two weeks later











Sono passate due settimane dal mio corto soggiorno in Canada per cambiare tipo di visto qui negli usa (da quello turista a quello studente), ed ho l'impressione che siano passati mesi. Che dentro di me, questa sensazione del viaggio, del cambiamento, abbia fatto più di tante altre esperienze....e gli incontri, le letture, la musica non siano un caso, ma piccoli frammenti di vita pronti ad essere accolti in un momento nel quale siamo particolarmente propensi a ricevere. A sentire. Cercare di sorprendere la città, noi stessi. Sentire il cambiamento, la metropoli, la gente che corre, la gente che si ferma, e quelli che restano fermi, e si riposano, finalmente, dopo una vita trascorsa a correre (penso al nostro vicino Norman del nono piano, a casa, tutto il giorno a guardare la vista sul bronx dal salotto del suo grande appartamento). E così ci imbattiamo in storie una più bella dell'altra. Semplici. E ci rendiamo conto che è questa semplicità a rendere prezioso un momento, la nostra esperienza. Che sia New York, Lugano, Chiasso, Losanna, Bruxelles ecc. non ha importanza, perchè dipende dalla nostra capacità a ricevere i messaggi, i segnali pronti ad essere interpretati. Questo è un post riflessivo, scritto di mattina presto perchè anche dormire, alle volte, è difficile quando tutte queste sensazioni cercano posto dentro, e chiedono di essere lette, viste, sentite. Quasi due settimane fa ho iniziato il mio workshop in filmmaking (scrivo filmmaking e non cinema apposta, perchè non è una scuola di cinema, ma impariamo, ci danno degli accenni di realizzazione, ma essendo un corso intensivo è praticamente impossibile parlare di cinema con la ci grande, soprattutto qui, o nella mia scuola, con una visione statiuniticentrista: si parla di film di hollywood, di happyending, di creatori del montaggio americani e grandi registi... americani. L'Europa non esiste, l'Asia ancora meno... ma forse perchè è dall'altra parte, e qui non se ne sono ancora accorti...). Sono contenta di essere qui, più che per i professori, ho la fortuna di essere in classe con gente con esperienze di vita incredibili, e le storie cominciano a prendere forma e ogni singolo momento, ogni attimo è composto da immagini, frammenti che magari, un giorno, potrebbero far parte di una storia più complessa, con un primo, un secondo e un terzo atto. Con i relativi climax, e quegli importantissimi turning points: le scelte del protagonista. Assurdo come una volta che si inizia ad analizzare un film, un racconto, un libro, tutto diventa analizzabile. Anche lo svegliarsi presto e scrivere su new york...

Tuesday, December 13, 2011

That is our world

"All the lives we could live, all the people we will never know, never will be, they are everywhere. That is what the world is." Alexandar Hemon (citato nel libro "Let the Great World Spin" di Colum McCann, che ho appena iniziato a leggere). Questa é New York, una città piena di mille mila cose da fare, ma non si può fare tutto. Si deve scegliere.

Le due settimane appena trascorse abbiamo vagato per la city con mete più o meno precise, più meno che più. Con un nuovo compare napoletano siamo andati al locale di John Zorn, lo Stone, una sala avantgarde-jazz. Se non sai che esiste non ci entri. Niente insegna, solo una porta e varcarla é un trip di un'ora e mezzo garantito per 10$. Stone appunto. Siamo stati al party di un tizio che fa scherma con Aline che parte con altri pazzi con una vecchia ambulanza nychese ripitturata con i colori jamaicani per fare un viaggio da Liverpool al Mali in 3 settimane (?!). Abbiamo conosciuto una cantate jazz, un insegnante di Thai-Chi e uno che lavora per la metro di NY. Andremo con loro a sentire jazz a casa di una vecchia signora di Harlem (?!x2). Aline é stata in Canada e ora é tornata negli US come studente ed ha iniziato la scuola di film. Io ho fatto il giro di Manhattan in bici, sul perimetro sulla pseudo pista ciclabile: bello, paesaggio ampio e libertà. Che dopo un mese e passa chiusi dentro la città mi ha fatto parecchio bene. Siamo andati a trovare il nostro vicino pensionato Normann che abita qui dagli anni '80 ed ha visto la Harlem di quell'epoca dall'alto del suo appartamento con vista. Un personaggio - nonno che andremo a trovare ancora per farci raccontare le storie, nelle domeniche di pioggia, con the e biscotti. Abbiamo fatto shopping senza riuscire a comprare niente talmente tanta roba c'é e talmente i negozi sembrano delle scenografie di un teatro. Aline ha girato il suo primo corto-esercizio per la scuola, io faccio "reseautage" academico e leggo per la mia ricerca. Abbiamo vagato per Greenwich Village, mangiato l'Hamburger al Joy's. New York ci piace, c'é una bella energia, c'é il sole. Ci stiamo bene. New York ci cambia, ma per il momento non saprei ancora bene dire come. Ce lo direte voi.

Forse il blog prenderà una forma più precisa, su problematiche specifiche, serie. Forse no. Per il momento ci va di usarlo così, perché possiate immaginarci qui. E perché riflette il nostro stato d'animo di qui ed adesso: due bambinoni con un grande giocattolo. Gaaa!
















































































Son storte le foto, boh. Fa niente, buona notte. zzz

Friday, December 02, 2011

Personal Note # 1

Candy Cane Cookies

Always read cookies ingredients before buy them. It is like have breakfast and brush your theet at the same time.

Leggere sempre gli ingredienti dei biscotti prima di comrparli. E come fare colazione mentre ci si lava i denti.

Bleah!