Il Flusso

The Map

Tuesday, September 11, 2012

Chicago (prima parte)

Eccoci ne “IL” pub di Empire, allo Sleeping Bear Dunes National Lakeshore. Sono parecchi giorni che non scriviamo e sento che se non lo facciamo ora prima di tornare a NY non lo faremo più. Quindi ci pigliamo da bere, io una Margarita e Aline un succo di pomodoro, le french fries e butto giù qualche riga. Dove cominciare? A Chicago siamo stati molto bene e anche per quello che non abbiamo scritto, ci siamo solo goduti la città. Ci é piaciuta molto, probibilmente perché eravamo in vacanza e rilassati ma ci é sembrata meno soffocante rispetto a NY, più rilassata, la gente cordiale, i trasporti efficienti, le piste cicalbili comodissime, la paseggiata sul lago, la luna, lo skyline con il tramonto, Millenium Park. E poi tutti i posticini dove ci siam fermati a bere, magnare e ad osservre la gente.
Abbiamo alloggiato a casa di due tizi tramite il sito Airb'n'b, che mette in contatto chi dispone di una stanza con chi la cerca. Rachel e Antonio, che non abbiamo capito bene se sono una coppia o no, ci hanno ospitato in cambio di $$ per quattro notti. Antonio ci ha accolto quando siamo arrivati, e già mi stava antipatico. Parlottando in salotto, stanchi dal viaggio in treno la notte, mi chiede che cosa facevo e a NY – sociologo – e che lui in giugno 2013 diventerà neurologo. Già questo gli dava il diritto di farmi domande senza veramente interessarsi alle mie risposte, intanto che guardava la tele e controllava facebook sul computer. Quando poi si é alzato per andare in cucina a ricaricare l'iphone senza nemmeno guardarmi in faccia intanto che io parlavo l'ho bellamente e mentalmente mandato a farsi fottere. Prima di uscire di casa per andare a espolrare il quartiere il nosrto compare Antonio ci dice di non preoccuparci, di tornare all'ora che vogliamo...Uh?? Paghiamo 80 dolla al giorno ci mancherebbe che mi dici a che ora devo tornare. E chi sei? Mio padre? Probabilmente vuole solo assicurarsi che stiamo fuori il più a lungo per guardare la televisione e chekkare facebook allo stesso tempo. Il nostro secondo e ultimo contatto con il soggetto in questione avviene la sera dopo: torniamo a casa completamente fradici dopo il diluvio universale e troviamo Rachel e Antonio euforici che festeggiano a casa: Antonio ha appena suonato con il suo gruppo in un baretto locale e ci pare un bambino ubriaco e strafatto. Come ci vede ci invita a bere del rhum con lui, poi si rende conto che non ci sta dentro e che nun ce ne può fregà de meno di bere del rhum con lui e si rifugia in cucina a mangiare prima di svenire...Rachel invece sembra più simpatica ma non la rivedremo praticamente più. Vabbé, ci diciamo che non dobbiamo focalizzarci troppo su sto pirla, sulla sua ex-moglie e sulla multa che ha preso per aver bruciato un semaforo (non ce la faccio a non leggere le lettere degli altri in bella mostra sul tavolo della cucina) e di goderci lo stesso la città. In ogni caso il quartiere dove siamo - Wicker Park - ci piace molto, é una specie di Brooklyn di Chicago con baretti, negozi per cani e per bambini (nella sequenza del ciclo familiare del quartiere) e di ristoranti italiani ottimi, che testeremo i giorni dopo.
La sera che siamo arrivati andiamo a vedere una festicciola di quartiere che ci é stata consigliata da amici di amici, a Logan Square. La festicciola - block party - é carina, ci sono bancarelle di cibo e birrame e la musica migliora con l'andare della serata. Osserviamo in bambini ballare come solo loro ballano e i barboni che dormono sul prato ascoltando gruppi emergenti che fanno un po’caca. Un gruppo di brasiliani invade la festa con suoni di tamburo e sculettamenti vari – shakeshakeshakit! Un bel concerto a fine serata, rap-crossover-jurassicpark.
Il giorno dopo piove. Tantissimo. Dopo la colazione andiamo a prendere il bus e visto che piove proprio tanto ci rifugiamo in un negozietto di cornici di fianco alla fermata. Il tizio che lo gestisce é un italiano di terza generazione e ci stiamo subito simpatici. E rasato e ha il grembiule da artigiano, ricicla materiali e fabbrica cornicette e mobili di legno e vende tutto nel suo negozio, salvo la collezione di piccoli dinosauri in bella mostra su una mensola. Quando gli diciamo che parliamo italiano ci prende ancora più in simpatia, ci dice che lui non si sentiva bene con l'immagine dell'italiano emigrato negli States, tutto pasta, mafia e mitra, che suo padre é stato il primo a rompere con quell'immagine e che lui ha seguito suo padre in questo, con un lavoro atipico, eccetera, eccetera. Ci da qualche consiglio su dove uscire a bere qualcosa e dove sentire un po'di r'n'r e poi gli dico che anche i miei hanno ha una galleria e un laboratorio di cornici e passpartout per foto. Ci dice anche che per fare il turista a Chicago, o per fare il turista in generale, non bisogna per forza avere una guida e andare a vedere le cose che tutti vanno a vedere, bisogna solo conoscere la gente e capitare sulle cose, seguire le indicazioni che la gente ci da per rendere il viaggio un'esperiezna. Ci dice di non comprare una guida (parlavamo di questo perché non ne avevamo una), di andare a vedere e basta, e cosi abbiamo fatto alla fine. Sembra una sciocchezza ma spesso é vero: quando si é turisti si seguono percorsi predefiniti e si lascia poco spazio all'esperienza personale. Non é questione di volere essere originali nel proprio turismo, é questione di avere un approcio con la città vero e non predefinito o imposto. Gli do l'indirizzo del sito della galleria dei miei e ci diciamo che torneremo a salutarlo nei prossimi giorni, ma non lo faremo.
Prendiamo il bus e ci dirigiamo verso il centro, per vedere le cose che un turista deve vedere, insomma. Continua a piovere e cambiamo programma 15 volte, andiamo al visitor center per fare un giro in barca o in bus ma poi non lo facciamo, mangiamo qualcosa perché siamo affamati e giriamo la zona centrale dove ci sono i palazzoni sul fiume. Poi visto che proprio non smette di piovere andiamo all'Art Institute of Chicago per vedere la retrospettiva di Lichtenstein. Sono già le 17.30 e abbiamo solo un'ora e mezza per girare questo luogo immenso. La mostra ci piace, ma boh. Non capiamo bene perché una retrospettiva su Lichtenstein, adesso. Ci piace vedere l'acrilico sulle tele, gli originali, la forza del colore. Riflessioni su come questo lavoro sia quasi più importante oggi per una storia del marketing che non per quella dell'arte. Una sbirciata pure alla collezione di foto, troppo veloce per scriverci qualcosa.
Usciamo e continua a piovere, finiamo al Millenium park li vicino e ci dicono che tra un attimo inizia un concerto che con numerosi musicisti, la maggior parte percussionisti, e che suonaneranno tutti insieme una composizione moderna. Apettiamo e dopo un po’iniziano con rumore di vento, di pietre e di palette e tubi rotanti in giro per il parco. Il concerto é una specie di progressione, roba moderna, ok. Inizia una pioggerella leggera che diventa sempre più forte, come la musica. Quando proprio viene giù a secchiate e suonano i tamburi ci rifugiamo nei bagni sotterranei insieme ad altri ragazzi, la musica non smette e nemmeno la pioggia. Dopo una breve pausa ci rifugiamo sotto il fagiolone che oggi non riflette raggi del sole oggi ma funge da riparo per le folle di turisti colti alla sprovvista da st'aquazzone. Ma non smette e ci rifugiamo in bar a bere un té caldo. Ma non smette e prendiamo il bus di fronte al baretto che ci porta più o meno vicino a casa. Più o meno... E non smette e ci avviamo correndo sotto una pioggia mai vista –tipo tempesta equatoriale - finche oramai siamo competamente fradici e ci diciamo che, vabbé, tanto oramai siamo bagnati.
Dopo una doccia decidiamo di tornare al ristorante italiano sotto casa dove ieri avevamo mangiato gli gnocchi al radicchio e gorgonzola più buoni da 10 mesi a questa parte. Ci accoglie un cameriere che parla italiano, non capiamo bene perché ma questo inizia a farci domande, a chiederci da dove veniamo a interessarsi a noi, ha voglia di parlare. Ci dice che son tre mesi che lui é qui con il visa da turista e che torna in Italia dopodomani ma tornerà immediatamente a Chicago perché in Italia non c’é niente. Mi ricorda vagamente Troisi quando ci dice che “Cioé, a me piacciono proprio i gratttacieli, vado la e li guardo per ore” e fin qui ci poteva stare anche perché a Chicago c’é un mix di architetture moderne che é veramente interessante. Ma quando poi un cameriere di un ristorante italiano buono ci dice “E poi a me, cioé, mi piace il McDonald, tantissimo proprio” ci guardiamo perplessi. Insomma questo per dire che il sogno di andare in America e di scappare dall’Italia, o dal paese d’origine che sia, é ancora più che vivo che mai, specialmente in questo periodo di crisi prende una nuova forma e invoglia le nuove generazioni in cerca di lavoro ad andarsene come fecero i nonni dei loro nonni. E non serve tanto per dare questa voglia di partire, basta l’immagie dei grattacieli e il gusto di cheesburger che si trova solo da McDonald a creare la speranza che il meglio sia altrove. Ma poi bisogna ricordarsi che “Chi parte, sa quello che lascia, ma non sa quello che trova”.

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