Lasciare NY é stato é stato un tuffo in una
realtà che già conoscevamo, che ci apparteneva, ma che ha preso misure diverse.
Sabato sera abbiam fatto un’ultima girovagata, aperitivo e cena con gli
amici: dalla confusione di Union Square alla calma di Washington Square per poi
entrare in un risotarnte a caso di cucina del sud, nel West Village. Non
vogliamo essere tristi, non siamo agli addi, anche perché sappiamo che ci
rivedremo. L’altro giorno mi son fatto un ultimo giro in bici, il solito che ho
fatto tante volte. Giù per Edgecombe, poi Harlem fino a Central Park, Columbus
Circle. E poi su ancora con il sole di ottobre e l’Hudson alla mia sinistra,
questo lungo percorso che ormai conosco bene e che lascia sempre tante emozioni.
Dopo aver regalato le cose che non
potevamo portare a casa (cibo, pedale della cassa, vestiti, corinci,
tazze, dvd,... é incredibile quante cose si accumulano in un anno) abbiamo
pulito l’appartamento che ci ha ospitato, il 5G di 409 Edgecombe Avenue.
Abbiamo lasciato la nostra traccia anche qui: un pezzo di scotch nero con le
nostre iniziali fuori dalla finestra del bagno a sinistra. Questo pulire la
nostra casa ci ha fatto capire un po’meglio che stavamo per andarcene. Ma fino
alla fine era come come lasciare casa nostra. Anche una volta riconsegnate le
chiavi e al momento della partenza avevamo dimenticato nostre cose in giro, sul
tavolo, proprio come se fosse casa nostra. Ci si affezziona anche alle cose,
oltre che alle persone. Un taxi-cadillac nero ci porta a JFK, sono le 6 di sera
del 22 ottobre 2012 e non ci sembra vero. Guardiamo indietro dal Queensboro, il
tramonto su Manhattan e inevitabilmente mi viene in mente una frase tratta dal
Grande Gatsby che ho già scritto qui. Tutto quello che lascio e tutto quello
che non abbiamo fatto rimane qui, perché é sicuro che ci torneremo. Questa
sensazione di incredulità ci accompagna per tutto il tempo. Così forte non l’ho
mai sentita, nemmeno quando ce ne siamo andati da Losanna. Ci addormentiamo in
taxi. Il viaggio in aereo é stato surreale. A Francoforte due poliziotti
tedeschi ci hanno confiscato il fioretto di Aline. Non dimenticherò mai la loro
faccia ottusa.
Atterrare a Milano e ritornare a Chiasso é pure
stato intenso. Le misure son diverse, il colore, l’odore dell’aria, il
silenzio, l’italiano. Saran cose banali, ma mi colpiscono forte oggi. Pensavo di conoscere questi luoghi che mi han visto cresecere. Invece mi
sento uno straniero a casa mia, vedo Chiasso dal fuori come non l’aveo mai vista. Chiasso é assolutamente una città controdendenza con
energie che non sento altrove. E poi pure qui c’é il parchetto delle scuole
(Central Park), il museum mile (Max, Cinema Teatro e Spazio Officina), le
gallerie di Chelsea (la Cons Arc). E poi c’é il gelato buonissimo, Como a 10
minuti, i bambini che giocano in italiano, i ragazzi che escono da scuola, Chiasso
é viva alle 5 di pomeriggio di questo 23 ottobre. Con mia sorella e il
suo ragazzo andiamo a zonzo per la cittadina, come facavamo anche a NY, senza
una meta precisa. Giusto camminare per sentire, per capire, per riprendere le
misure. Son 30 e passa ore che siamo svegli. Sento che il mio corpo non sta ancora bene in questo spazio, sento che
non ho ancora stabilito una connessione con i miei qui, sento che il processo di
atterraggio sarà lungo. Esco sul balcone, sono le 9.20pm a
ny, le 3.20am qui. Altre due luci nei palazzi vicini di questa medina sfigata
di tetti. Altra gente che magari come me sta scrivendo. La notte é un momento
bellissimo, individuale, si sta da soli, si capiscono le cose. Però adesso
cerco di dormire ancora un po’senno domani alle 20 mi ritrovo fuso un’altra
volta.
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