Il Flusso

The Map

Friday, August 24, 2012

Camping!

Lasciata la sorprendente Denver e gli incontri fatti con le varie promesse di rivedersi e risentirci, siamo partiti per le nostre vacanze. Anche prima eravamo già un po’ in vacanza ma stare a sentire parlare tutto il giorno, gestire public relations con le persone interessanti e oltretutto con il mio fare impacciato prende un sacco di energie. Questa esperienza dei congressi negli USA rimarrà un bel ricordo, ho l’impressione che la gente sia più rilassata e veramente interessata a quello che fai, mi sento paradossalmente meno criticato e giudicato per quello che faccio qui che non in altri congressi in Europa. Qui prima si ascolta, é poco importante che si parli un inglese perfetto, l’importante é far passare la cosa, comunicare. Forse é anche il mio nuovo statuto da postdoc alla Columbia che mi da già un’aria più interessante, in ogni caso é stato davvero piacevole scambiare quattro chiacchere con sta gente e spero di mantenere dei buoni contatti.
Dicevo comunque che siamo partiti, in macchina da Denver, dopo la colazione al Denver Diner dove stavo scrivendo l’altro post. La colazione esagereta é arrivata proprio mentre stavo finendo di scrivere la scena vista il mattino precedente dalla finestra dell’ostello. A partire da quell momento siamo partiti sulla strada e la strada fa sempre viaggiare con la mente, con il corpo, si sente macinare i chilometri e si prende la distanza necessaria da quel che si fa, ci si vede dal fuori e ci si sente bene a fare questo esercizio. Entrambi scriviamo di questi momenti che devono essere ricordati ed entrambi sappiamo che é importante. Stiamo bene. La strada fa prendere distanza prima di tutto da NY, che é il motivo per cui siamo qui, negli States. NY negli ultimi mesi era umida, calda, trafficata, stronza, soffocante. NY gli ultimi mesi é stata dura e a pensarci bene non ho (ancora) voglia di tornarci per trascorrere l’ultimo mese e mezzo prima di tornare in patria. NY é stata una bella mazzata durante questi mesi estivi, soprattutto per il clima orrendo e l’umidità. Sono anche stati mesi strani, di partenze di amici con i quali NY si é vissuta in modo speciale. In particolare il nostro compare Dario, con il quale ho suonato in giro per la città e vissuto momenti indimenticabili, come indimenticabile é stata la sua festa di partenza in un appartamento all’xxesimo piano di un grattacielo di Long Island City, con una vista su Manhattan da togliere il fiato.
Insomma ho iniziato a scrivere di questi due giorni dopo Denver ma non mi riesce e mi viene di scrivere di tutto quello di cui non ho mai scritto prima. Credo sia l’effeto di NY, o della routine, o della mia routine a NY. Le cose sono assorbite e non si vedono piu, le cose perdono di importanza in fretta perché c’é subito altro che segue, le piccole cose importanti sembrano diventare superflue. NY fa mancare l’aria il nostro appartemanto di Harlem é diventato quasi invivibile, mentre in questo momento sento il rumore di un trapano nel legno e di donne che parlano, un venticello fresco mi fa venire qualche brivido, c’é l’odore di camino e mi sto bevendo un vinello bianco italiano di cui mi son già scordato il nome. Cose che a NY non ci sono, o che anche se ci sono non le senti, non le vedi.
Dopo il Diner ci siamo diretti al Red Rocks Theater, a pochi chilometri da Denver. Amici di amici ci hanno consigliato di vedere questo posto. Le aspettative erano un po`più alte, ma comunque si tratta di un posto e di un concetto straordinari. Questo anfiteateatro é immerso nella natura ed é stato creato nel 1942, piazzato nel bel mezzo di un anfiteatro naturale composto da rocce rosse emerse dalla terra. La cosa più spettacolare dev’essere chiaramente vedersi un bel concertone qui, come Neil Young o Jack White che ci han suonato qualche giorno fa (porca di quella trottola). Ma anche vederselo così alla luce del sole rimane un posto impressionante. Ricorda altri anfiteatri greci e romani, all’aria aperta, ma qui é tutto americano e la maggior parte dei concerti é di musica folk-rock, roba da motociclisti e vacanze in camper all’americana insomma. Quando arriviamo noi é domenica mattina e al primo sguardo di sotto verso il palco vuoto vediamo una mandria di sportivi che corrono in tutti i sensi: alcuni dall’alto in basso, altri da destra verso sinistra, altri ancora fanno flessioni o tirano calci volanti, altri ancora corrono con i cani: un delirio. Ne deduciamo che ogni domenica estiva gli sportivi di Denver si ritrovano quassù per smaltire un po di ciccia e che lo fanno perché qui siamo più un alto e che si fatica di più. A noi sembrano solo una mandria di disperati. Contenti loro.
Dopo le red rocks ci siamo diretti verso il Rocky Mountain National Park. Siamo stati due giorni in un campeggio al limite del parco. Immersi nella natura la prima sera sentivamo i concerti per intrattenere i turisti nella vicina Esters Park, musiche pseudo indiane e folk-country che un po’cancellano la magia della notte in campeggio. La prima sera non abbiamo fatto altro che montare la tenda, accendere il fuoco nel bellissimo posto predisposto e cucinarci i nostri due bell’hamburgeroni con tanto di pikle (cetrioli giganti ai quali siamo oramai dipendenti), pomodoro, ecc. Intorno al fuoco, in mezzo al parco. Le stelle piano piano appaiono, insieme al freddo e al silenzio. I concerti in lontananza intanto son finiti. Ci piace stare fuori all’aria aperta, ci piace il fuoco, ci piace dormire in tenda. Stiamo tutta la sera davanti al fuoco, pensando, parlando. Ci sarebbe anche una conferenza del ranger alle 8.30, ogni sera ce n’é una, ma chissenefrega, rimaniamo qui a guardare le stelle come non le vedavamo da mesi, come non le avevamo mai viste. L’orsa maggiore non é allo stesso posto che da noi. O sì ? Boh.
Dormiamo bene anche se fa freddo. In mezzo alla notte Aline deve andare in bagno ed io pure. Ci vestiamo e ci avviamo verso il bagno che non é tanto lontano, ma é lontanissimo con il buio della notte. Il ranger ci ha avvisato che ci sono gli orsi neri, sono bassi, non sono grizzly, ma se s’incazzano possono romperti. In case the black bear start to fight, fight back. E che gli faccio all’orso nero? Gli tiro un calico nelle palle? La cosa fondamentale é nascondere tutto il cibo in macchina, oppure nei bear box, appositi contenitori a prova di orso in cui ci si può stoccare le cibarie. In ogno caso non incontriamo nessun orso nella nostra passeggiatina notturna. E ce ne torniamo a dormire con addosso uno strato di vestiti in più. Dormiamo secchi fino alle 9 di mattina nonostante la luce sia già bella forte in tenda a quell’ora.
Il giorno dopo andiamo ad esplorare il parco. Ci dirigiamo verso Wild Basin, una foresta con diversi “hike”, passeggiate più o meno lunghe, con più o meno dislivello. Il sito ci é stato consigliato dalla tizia che vende legna al campeggio, che vedendo il nostro equipaggiamento assolutamente inadatto al trekking ci ha dato qualche consiglio su passeggiate più corte. Decidiamo di fare la passeggiata più corta, con vecchietti, bambini e handicappati ciccioni che camminano più veloci di noi. Andiamo fino alle Calypso Cascades, ben 1.8 miglia a piedi con una salitina. Anche qui si possono incontrare orsi e altri animali simpatici tipo puzzole e orsetti lavatori. Per nostra fortuna non incontriamo un bel niente. La passeggiata é proprio bella e segue un fiume. Incontriamo 4 ragazzi che pescano "a moscsa" nel fiume. Quanto vorrei poter provare a far due tiri pure io. Ma ci sembra che non prendono un bel niente. In ogni caso ci godiamo la passeggiata. I paesaggi non sono molto differenti da quelli svizzeri ma c’é comunque una vegetazione un po’diversa e molti alberi caduti. Il fiume crea delle cascate molto belle, sembra di essere in un parco naturale americano. Ma vah ?! Tutto é bello é in ordine, tutto é preservato, quasi fin troppo. Ci sembra assurdo come non si possa calpestare l’aiuola fuori dal sentiero perché sennò la fauna ci mette anni a ricostituirsi, o che all’interno del parco si facciano grandi interventi per mantenere intatto il paesaggio e la vista originale per le migliaia di visitatori che ogni anno passano di qui e blabla. Mentre invece non appena fuori dal parco vi sono casette a schiera tutte uguali in stile pesudo finto svizzero ed enormi, senza nessuna cognizione, senza nessuno gusto. Un pugno in un occhio. La nostra passeggiatina continua fino alle cascate del Calypso, dove facciamo un pic nic in compagnia dei soliti vecchietti che ci seguono in queste vacanze. Respiriamo aria pulita e ci stanchiamo parecchio, siamo comunque a circa 3000 msm e ci viene da bere molto, il sole picchia e il fiato corto si sente subito. 
La sera torniamo al campeggio dopo aver fatto scorta di cibo e dopo aver mangiato i momo al ristorante nepalese in città. Siamo in un’altra piazzola rispetto a ieri sera, la mattina abbiamo dovuto spostarci perché la piazzola dove eravamo era già stata riservata. La nostra nuova piazzola é l’ultima al confine del campeggio. Col calare della notte ci sentiamo sempre più distanti da resto del campeggio. Abbiamo acceso il fuoco, giusto per il gusto di farlo, e anche per scaldarci un po prima di andare a dormire. Le stelle appaiono di nuovo insieme al buio e insieme alla paura della natura. Ci preoccupiamo entrambi per l’arrivo dell’orso nero, dal boschetto sopra la nostra tenda, continuiamo a guardarci in giro e a dirci a vicenda di smetterla di guardarci in giro. Quando non si vede più niente si affinano gli altri sensi, si cominciano a sentire rumori che non si sentivano prima. L’orso nero rappresenta la nostra paura per una natura che non conosciamo, che ignoriamo. NY é solo cultura, a parte l’illusione di natura a Central Park. Qui in mezzo al parco ci caghiamo letteralmente sotto. Nel bel mezzo della notte Aline non riesce a dormire e deve andare ancora in bagno. Questa volta invece di andare fino al bagno e compiere il lunghissimo tragitto che ci separa al buio, optiamo per l’aria aperta, fuori dalla tenda.
Intanto che scrivo tutto questo siamo all’ostello di Gunnison. Nel salotto, seduta sulla poltrona un’altra ospite dell’ostello scrive e legge anche lei al computer e ogni tanto sorride tantissimo, con un sorriso americano a 32 denti stampato in faccia. Avrà letto una mail che la fa sorridere. Mi ricorda questo video. Ecco, quasi quasi preferivo l’orso  (che chiaramente, anche la seconda notte non é mai arrivato) che il sorrisone gengivale di sta qui.

1 comment:

guido said...

Ricordatevi di aggiornare anche le mappe...