Ci ero già andato altre volte e già avevo notato
la stravaganza e gli schemi della gente che frequenta la facoltà di
giornalismo. Oggi c’erano personaggi e situazioni troppo surreali per non raccontarveli.
Con il mio bel “chicken on rice and beans” mi
sono piazzato su una panca, al sole, in mezzo alla piazza pubblica. Davanti a me i Prof mangiano tutti tra di
loro, hanno tutti i pantaloni lunghi e una camicia blu. Tre di loro hanno una camicia
con lo stesso identico disegno a strisce blu, tanto che mi verrebbe da chiedergli
se vanno dallo stesso sarto. Parlano tra di loro e il resto del mondo non esiste.
Quando un Prof che guadagna di più o che si crede superiore parla ad un altro inizia
la frase distogliendo lo sguardo. E una dimostrazione di potere, é più
interessante guardare l’albero invece che te quando ti parlo, pirla! Un’assitente
mangia con loro e guarda quasi sempre in basso, se ne sta zitto. Non solo lui
stesso pensa di essere scemo, ma lo pensano pure tutti gli altri.
Sulla panca di fianco alla mia un’indiana
parla indiano al telefono e poi strilla al suo amico che arriva, indiano pure
lui. Lei si toglie la benda che fascia il piede e l’amico, probabilmente al
primo mese di medicina, le osserva attentamente il piede e lo muove con delicatezza,
come se stesse manipolando uranio. Con fare già da medico le prescrive i
medicamenti, le dice che non é nulla di grave e che deve cercare di muoverlo il
meno possibile, che probabilmente é solo una storta, dovrebbe stare più attenta
quando fa spinning acquatico, le consiglia di seguire un altro corso di yoga
aerostatico obliquo dove si usano meno i piedi. Ovviamente questa é la mia
interpretazione della loro conversazioni in indiano.
Sulla panchina alla mia sinista, un ragazzo
visibilmente gay mangia con una ragazza nera. Che bella coppia! Stanno seduti
ai bordi estremi della panchina lasciando il massimo di spazio sulla panchina
che ci si potrebbero sedere almeno quattro giapponesi. Vogliono rendere noto alla comunità intera che
il loro legame é puramente di amicizia. Lo sanno anche quelli che passano in
aereo sopra Manhattan talmente la distanza tra di loro é enorme. Durante la lro
conversazione lui ribadisce “AI , AI, ... I don’t think that blablabla” con un
tono che supera gli 8000 decibel. I prof interromopono un attimo le loro discussioni senza guardarsi
per vedere chi diavolo é sto pirla che strilla come una gallina. L’amica nera
annuisce e magna il suo panino.
Continuiamo con il tavolo di fronte, una
stundente al primo anno ne intervista un altro più vecchio.
Probabilmente un esercizio che fanno fare alle nuove matricole per iniziare ad
imparare il lavoro dell’intervistatore e allo stesso tempo per integrarsi nella
facoltà. Lui parla senza mai smettere, lei prende appunti e ascolta. Si
atteggiano a fare gli studenti di facoltà di giornalismo. Si atteggiano.
Fa bene vedere ste cose dal fuori, chissà
quante volte ho mangiato con dei prof abbassando lo sguardo o stando muto,
chissà quante volte un prof che lavora con me mi ha parlato senza guardarmi
negli occhi, e chissà quante volte, forse, io ho fatto la stessa cosa con gli
studenti. Tutto questo mi sembrava più che normale. Le gerarchie così
strutturate ti entrano dentro, inizi a parlare agli altri distogliendo lo
sguardo anche quando vai dal farmacista, o a comprare il pane, o, cosa ancora più grave, con gli amici veri.
Finito il pollo con i beans e il mio mezzo
litro di Sprite mi alzo, sta gente mi ha scocciato e fa caldo. Sento che dallo
stomaco mi sale un bel ruttone vigoroso, di quelli belli potenti. Come vorrei librarlo
nell’aere per esprimere il mio disappunto, sopra le note del gay “AI, AI”,
sopra le discussioni-dimostrazione di potere, sopra l’atteggiarsi e l’appiccicarsi
un ruolo che é di altri. Ma non lo faccio e me lo tengo dentro. Perché non si
fa.
1 comment:
ma era sociologia o psicologia?
non mi ricordo .....
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