Il Flusso

The Map

Thursday, September 13, 2012

Rutto (non) libero

Ci ero già andato altre volte e già avevo notato la stravaganza e gli schemi della gente che frequenta la facoltà di giornalismo. Oggi c’erano personaggi e situazioni troppo surreali per non raccontarveli.
Con il mio bel “chicken on rice and beans” mi sono piazzato su una panca, al sole, in mezzo alla piazza pubblica. Davanti a me i Prof mangiano tutti tra di loro, hanno tutti i pantaloni lunghi e una camicia blu. Tre di loro hanno una camicia con lo stesso identico disegno a strisce blu, tanto che mi verrebbe da chiedergli se vanno dallo stesso sarto. Parlano tra di loro e il resto del mondo non esiste. Quando un Prof che guadagna di più o che si crede superiore parla ad un altro inizia la frase distogliendo lo sguardo. E una dimostrazione di potere, é più interessante guardare l’albero invece che te quando ti parlo, pirla! Un’assitente mangia con loro e guarda quasi sempre in basso, se ne sta zitto. Non solo lui stesso pensa di essere scemo, ma lo pensano pure tutti gli altri.
Sulla panca di fianco alla mia un’indiana parla indiano al telefono e poi strilla al suo amico che arriva, indiano pure lui. Lei si toglie la benda che fascia il piede e l’amico, probabilmente al primo mese di medicina, le osserva attentamente il piede e lo muove con delicatezza, come se stesse manipolando uranio. Con fare già da medico le prescrive i medicamenti, le dice che non é nulla di grave e che deve cercare di muoverlo il meno possibile, che probabilmente é solo una storta, dovrebbe stare più attenta quando fa spinning acquatico, le consiglia di seguire un altro corso di yoga aerostatico obliquo dove si usano meno i piedi. Ovviamente questa é la mia interpretazione della loro conversazioni in indiano.
Sulla panchina alla mia sinista, un ragazzo visibilmente gay mangia con una ragazza nera. Che bella coppia! Stanno seduti ai bordi estremi della panchina lasciando il massimo di spazio sulla panchina che ci si potrebbero sedere almeno quattro giapponesi. Vogliono rendere noto alla comunità intera che il loro legame é puramente di amicizia. Lo sanno anche quelli che passano in aereo sopra Manhattan talmente la distanza tra di loro é enorme. Durante la lro conversazione lui ribadisce “AI , AI, ... I don’t think that blablabla” con un tono che supera gli 8000 decibel. I prof interromopono un attimo le loro discussioni senza guardarsi per vedere chi diavolo é sto pirla che strilla come una gallina. L’amica nera annuisce e magna il suo panino.
Continuiamo con il tavolo di fronte, una stundente al primo anno ne intervista un altro più vecchio. Probabilmente un esercizio che fanno fare alle nuove matricole per iniziare ad imparare il lavoro dell’intervistatore e allo stesso tempo per integrarsi nella facoltà. Lui parla senza mai smettere, lei prende appunti e ascolta. Si atteggiano a fare gli studenti di facoltà di giornalismo. Si atteggiano.
Fa bene vedere ste cose dal fuori, chissà quante volte ho mangiato con dei prof abbassando lo sguardo o stando muto, chissà quante volte un prof che lavora con me mi ha parlato senza guardarmi negli occhi, e chissà quante volte, forse, io ho fatto la stessa cosa con gli studenti. Tutto questo mi sembrava più che normale. Le gerarchie così strutturate ti entrano dentro, inizi a parlare agli altri distogliendo lo sguardo anche quando vai dal farmacista, o a comprare il pane, o, cosa ancora più grave, con gli amici veri.
Finito il pollo con i beans e il mio mezzo litro di Sprite mi alzo, sta gente mi ha scocciato e fa caldo. Sento che dallo stomaco mi sale un bel ruttone vigoroso, di quelli belli potenti. Come vorrei librarlo nell’aere per esprimere il mio disappunto, sopra le note del gay “AI, AI”, sopra le discussioni-dimostrazione di potere, sopra l’atteggiarsi e l’appiccicarsi un ruolo che é di altri. Ma non lo faccio e me lo tengo dentro. Perché non si fa.

1 comment:

guido said...

ma era sociologia o psicologia?
non mi ricordo .....