Il Flusso

The Map

Saturday, October 27, 2012

Chiasso



Lasciare NY é stato é stato un tuffo in una realtà che già conoscevamo, che ci apparteneva, ma che ha preso misure diverse. Sabato sera abbiam fatto un’ultima girovagata, aperitivo e cena con gli amici: dalla confusione di Union Square alla calma di Washington Square per poi entrare in un risotarnte a caso di cucina del sud, nel West Village. Non vogliamo essere tristi, non siamo agli addi, anche perché sappiamo che ci rivedremo. L’altro giorno mi son fatto un ultimo giro in bici, il solito che ho fatto tante volte. Giù per Edgecombe, poi Harlem fino a Central Park, Columbus Circle. E poi su ancora con il sole di ottobre e l’Hudson alla mia sinistra, questo lungo percorso che ormai conosco bene e che lascia sempre tante emozioni.
Dopo aver regalato le cose che non potevamo portare a casa (cibo, pedale della cassa, vestiti, corinci, tazze, dvd,... é incredibile quante cose si accumulano in un anno) abbiamo pulito l’appartamento che ci ha ospitato, il 5G di 409 Edgecombe Avenue. Abbiamo lasciato la nostra traccia anche qui: un pezzo di scotch nero con le nostre iniziali fuori dalla finestra del bagno a sinistra. Questo pulire la nostra casa ci ha fatto capire un po’meglio che stavamo per andarcene. Ma fino alla fine era come come lasciare casa nostra. Anche una volta riconsegnate le chiavi e al momento della partenza avevamo dimenticato nostre cose in giro, sul tavolo, proprio come se fosse casa nostra. Ci si affezziona anche alle cose, oltre che alle persone. Un taxi-cadillac nero ci porta a JFK, sono le 6 di sera del 22 ottobre 2012 e non ci sembra vero. Guardiamo indietro dal Queensboro, il tramonto su Manhattan e inevitabilmente mi viene in mente una frase tratta dal Grande Gatsby che ho già scritto qui. Tutto quello che lascio e tutto quello che non abbiamo fatto rimane qui, perché é sicuro che ci torneremo. Questa sensazione di incredulità ci accompagna per tutto il tempo. Così forte non l’ho mai sentita, nemmeno quando ce ne siamo andati da Losanna. Ci addormentiamo in taxi. Il viaggio in aereo é stato surreale. A Francoforte due poliziotti tedeschi ci hanno confiscato il fioretto di Aline. Non dimenticherò mai la loro faccia ottusa.
Atterrare a Milano e ritornare a Chiasso é pure stato intenso. Le misure son diverse, il colore, l’odore dell’aria, il silenzio, l’italiano. Saran cose banali, ma mi colpiscono forte oggi. Pensavo di conoscere questi luoghi che mi han visto cresecere. Invece mi sento uno straniero a casa mia, vedo Chiasso dal fuori come non l’aveo mai vista. Chiasso é assolutamente una città controdendenza con energie che non sento altrove. E poi pure qui c’é il parchetto delle scuole (Central Park), il museum mile (Max, Cinema Teatro e Spazio Officina), le gallerie di Chelsea (la Cons Arc). E poi c’é il gelato buonissimo, Como a 10 minuti, i bambini che giocano in italiano, i ragazzi che escono da scuola, Chiasso é viva alle 5 di pomeriggio di questo 23 ottobre. Con mia sorella e il suo ragazzo andiamo a zonzo per la cittadina, come facavamo anche a NY, senza una meta precisa. Giusto camminare per sentire, per capire, per riprendere le misure. Son 30 e passa ore che siamo svegli. Sento che il mio corpo non sta ancora bene in questo spazio, sento che non ho ancora stabilito una connessione con i miei qui, sento che il processo di atterraggio sarà lungo. Esco sul balcone, sono le 9.20pm a ny, le 3.20am qui. Altre due luci nei palazzi vicini di questa medina sfigata di tetti. Altra gente che magari come me sta scrivendo. La notte é un momento bellissimo, individuale, si sta da soli, si capiscono le cose. Però adesso cerco di dormire ancora un po’senno domani alle 20 mi ritrovo fuso un’altra volta.

Monday, October 22, 2012

lunedì 22 ottobre 2012, ore 16h39

Ultimo post di New York. E scriverei solo questo. France è in banca a chiudere il conto, io dovrei riservare il taxi per andare in aeroporto ma è troppo tardi. Riservare un taxi un'ora prima a ny non si fa. Quindi controllo il blog, ma svelto, perchè dobbiam metter via le ultime cose, pigiare per bene la valigia, trovare qualche ingegnosa soluzione agli ultimi problemi logistici e non pensare molto. Il viaggio di ritorno è sempre così, ma io non lo vedo come un rientro, ma più come una partenza. E chissà per quali nuovi avventure ci stiamo inoltrando. Ci vediamo in Svizzera!!!!!

Friday, October 19, 2012

Tracce

A zonzo per NY come pazzi che quasi ci dimentichiamo di  dormire e di mangiare. Al lavoro per cercare di finire il massimo che si può che poi a distanza sarà difficile continuare a lavorare. A filmare i designers a Chinatown ed intervistarli per l'ultimo doc di Aline girato a NY. Per vedere ancora e stare con la gente che abbiamo conosciuto qui, che ci han dato tanto, ci han dato una stabilità e ci hanno introdotto nei posti, nelle cose, nell'atmosfera. Ci han fatto sentire a casa. E poi andare a vedere ancora concerti, spettacoli, fare il pieno di tutto dimenticandoci di noi stessi. Dormiremo sull'aereo. Dormiremo in Svizzera settimana prossima. Una festa sull'A train ieri sera, un tizio losco che vendeva succhi di frutta alle 2 di notte, donnone nere che strillano di votare Obama, personaggi incredibili ed enormi sbucati dalla notte. Una birra in un mex del Lower East. Un panino a CHinatown che con la luce del pomeriggio d'autunno non avevo mai visto. Un tacos a Brooklyn, di notte, dopo Pina Basuch. Ultimo giorno di lavoro oggi, era triste lasciare le cose, lasciare le persone. Ho detto ciao alla sedia, alla scrivania, a quella soffitta di merda che mi ospitato per un anno. Ho stampato un'ultima cosa e poi me la sono dimenticata lì e non potevo più rientrare perché ho lasciato le chiavi dentro. Sulle scale tra il quarto e il quinto piano (circa all'altezza del quinto gradino) del Grace Dodge Building, al Teachers College, 120st tra Amsterdam e B'dway, ho lasciato il bollino di una mela sopra un pezzo di legno, in mezzo alla parete. Nessuno guarderà mai sopra lì, anche perché fa parecchio schifo. Lascio il mio segno che poi magari lo ritrovo tra anni, o lo ritrova qualcun'altro.

Dovevamo arrivare a una cena 10 minuti fa e siamo ancora a casa...

Wednesday, October 17, 2012

Oggi

Siamo a zonzo per New York. Non so se è New York che decide dove andiamo o se lo decidiamo noi. Chi è più forte, noi o la città? Sento le stesse cose e sento che il suolo, il marciapiede, la sedia, il treno corrono più veloci di me. E sento che di correre così velocemente non ne ho voglia. Non adesso. Ieri sera sono andata alla conferenza dei designers sul quale stò facendo un nuovo servizio per la tele e oltre ai mille concetti che piacciono tanto a loro, ho sentito quelle piccole cose che aprono un pochino la mente (tra l'altro ora, invece che scrivere per il blog, dovrei preparare l'intervista... ma questo è un altro problema...). Il fatto è che uno è grafico-tipografo ma anche musicista, l'altro è anche curatore di esposizioni e gallerista e il terzo è pure scrittore. All'inizio mi dicevo, cavolo, quante cose e diverse tra di loro. E ieri, semplicemente, uno alla volta, dice di come la musica è fare design, di come scrivere è fare design e gallerista idem. Ammetto che il termine design è vago, ne avevo scritto un tema tempo fa. È che è tutto collegato, evidentemente, ma collegato nel senso della creazione, si crea ugualmente e non è che se uno scrive è meno creativo del grafico. Ok è scontato, ma mi sono sempre detta che interessarsi alla fotografia, grafica, scrittura ecc fosse troppo. E forse da un lato lo è, partecipa alla mia disperisione ancora di più, ma in realtà, in fondo, è un tutt'uno, tutto un grande e unico disegno che piano piano prende forma. Come andare a zonzo per NY. Anche se in realtà sognerei di andare a zonzo per NY, ma ora è un lusso che mi concedo forse, se e magari, per venerdì, o sabato. Raquel il giorno dopo essere atterrata a Madrid dopo sette mesi qui mi ha scritto di perdermi, di prendermi il lusso di perdermi. Perdersi è quella cosa che ti fa sentire a casa e bene e che solo una città come NY può darti, ancora dopo mesi e mesi. La odi e la ami. La rincorri e la eviti. Scappi e ti riprende. Mi ci perdo e la odio, poi mi ci ritrovo e la odio ancora. Ma poi c'è come un barlume, una piccolezza e la riamo di nuovo. Penso sia proprio amore. Come quando si filma per tanto tempo qualcuno, sono convinta che se non ci fosse amore, per la persona, l'interesse svanirebbe subito. E per questo spesso mi capita di sentire di voler fare altro, o altre volte la connessione con l'altro è così particolare che ho paura di rompere tutto chiedendo un banale permesso, ma poi effettivamente svanisce tutto, oppure no, ma richiede pazienza... tanta pazienza e tanto tempo, come NY. Un anno non è nulla per conoscerla, ora siamo al nostro primo appuntamento, e non ne sappiamo quasi niente. Ripeto sempre le stesse cose, e come france mi viene da dire "quando torno voglio fare tante cose". Ma anche prima di venire qui dicevo la stessa cosa e non ho finito neanche la metà di ciò che volevo finire. France è al concerto con Leslie, io ero a cena con Tanja, la mia amica tedesca produttrice. Due amici che avremmo visto si e no tre volte in un anno. È così NY, ti prende e ti sbatte nel suo vortice, e con sè tutti gli altri, e trovarsi è davvero cosa difficile.
© Ron Jude, "Other Nature"

fare le cose

Una giornata di lavoro intenso, per cercare di finire le cose qui. Un pranzo con il prof, ne avessimo fatti di più per parlare di cose che ci appassionano. Fuori é già buio, tra poco vado al club di jazz, con il mio amico nero Leslie. A sentire non so cosa, a spendere gli ultimi dollari, a sbevazzare a zonzo per NY. Trovare l'equilibrio, le energie per fare le cose. Non ci vuole solo prossimità fisica ma anche nelle idee, bisogna avere le stesse idee, la stessa visione delle cose. E soprattuto bisogna saperele e volerle comunicare, sennò non si fa un cazzo. Si avvicina il momento della partenza e do sempre meno peso a quello che scrivo, lo scrivo e basta. Quando torno voglio fare tante cose.

Tuesday, October 16, 2012

0 hours left

Mi faccio un'ultima corsetta in giro per Harlem, pensando che magari se corro sarò un po'più rilassato sull'aereo. Parto per il solito giro verso 155 ma poi decido all'ultimo di cambiare strada e invece di scendere giù alla stradina pedonale che costeggia il fiume, dove oramai non c'é più nessuno perché fa troppo freddo, rimango sulla strada alta. Ci sono le macchine e l'autostrada più in là, ma vabbé. Mi respiro ancora un po'di questo smog che fa parte di New York, me lo porto a casa. Scendo su Riverside con altri joggers, l'asfalto del marciapiede distrutto e pochissima luce. Stasera c'é in giro tanta gente, é una bella serata autunnale e la gente esce. I cani si incontrano. "Be nice, be friendly"  dice uno al suo mentre ne sta per azzannare un'altro grande la metà di lui. Ci sono gli odori di cibo che escono dalle cucine. Invitatemi a cenaaa!! Le case con le scale e la gente seduta fuori. C'é l'odore di pipa e le luci soffuse. Stasera Sugar Hill sembra quella che mi immaginavo prima di venire qui: tutti fuori a contarsela sù. Entro in un Deli tra Hamilton e 143th per comprarmi il mio ultimo gelatone americano che mi sbafo dopo cena. Dentro é pieno di gente, sembra quasi una festa. Si parla di baseball, si parla il solito inglese basico. Con poche parole si può diventare amici, l'importante é scambiare, comunicare, chissenefraga della grammatica, soprattutto in una serata come questa. Esco dal negozio e stanno intervistando uno con camera e farone e c'é una finta folla intorno a lui, giusto per coprire lo spazio dell'inquadratura. Boh. Continuo e passo dalla 145, verso St. Nicholas. Questa strada é sempre buia,  uno con giubbottone più grande di lui mi chiede se ho soldi da darlgi ma gli dico che non ho niente, ed é vero perché i 10 dollari che avevo li ho usati per comprare il gelatone e altre 2 cose. Mi richiede se ho il change e gli ridico che non ho niente scazzato, se ne va. Almeno mettiti dove c'é un po'più di luce che così fai un po'paura, amico. Inciampo. Penso che se fossi caduto avrei fatto un volo spettacolare e mi avrebbero aiutato almeno in 5 a rialzarmi, 5 neri. O forse no. Dico, forse non mi avrebbero aiutato a rialzarmi. Giro l'angolo, odore di Marjuana e di bucato pulito. E una buona serata per fare il bucato e farsi una canna. La gente é fuori e parla ogni lingua. Le luci della notte, Halloween che si avvicina come l' unico momento dell'anno dove si piò essere un po più socievoli. Si può addirittura andare di casa in casa a chiedere delle caramelle! Il jogging senza nemmeno accorgermi si é trasformato in una passeggiata. Giro l'angolo su Edgecombe c'é pronto il set per girare un film, delle finte bacarelle tipo mercatino con dietro il telone verde per poter aggiungere un finto paesaggio dopo, immagino. Chiedo cos'é e due tizi bofonchiano "It's a show, 0 hours lefts, or minutes, dunno, something like this". Si stan facendo una canna gigante che si sentiva l'odore già lontano un miglio. E che é? La serata della canna libera? Li lascio ringraziando che sono  ancora sono lì a dirsi "hours, minutes, dunno man". Anyway, 0 hours left sembra il titolo adatto. E incredibile come ci si renda conto di tutto quello che offre un posto solo quando si arriva, o quando si sta per lasciare, mai nel mezzo. Damn!

Monday, October 08, 2012

Tra due settimane sta storia si chiude



Two weeks to go, siamo alla frutta. Si chiude un capitolo, si torna a casa. La cosa che non riesco a smettere di pensare in questi giorni é che ci sarebbero ancora mille cose da fare, da vedere, gente da conoscere, eccetera, eccetera. Ma oramai non c’é più tempo, e non c’é più nemmeno tanta grana $$. Oltretutto sono a casa ammalato e l’unica cosa che posso fare é cercare di rilassarmi, smetterla di stressarmi per le cose non fatte. Neil Young dice una grande verità, che non so bene cosa centra ma lo scrivo lo stesso “The straighter I am, the more alert I am, the less I know myself”. Più si é severi con sé stessi, più si pensa che si devono fare delle cose, che ci sono delle strade da seguire, dei traguardi da raggiungere, più si perde il contatto con noi stessi, con il sentire le cose per conoscere sé stessi e gli altri. La vita é un gioco e va vissuta come tale. E allora cerco di starmene tranquillo a casa, anche perché non posso fare altro, sono a casa ko. E cerco di conoscere ancora me, ancora noi, in quest’appartamento di Harlem che ci ha ospitato per un anno.
Mi sento a casa questo weekend, come se fossimo a Losanna, in una giornata di nebbia alta tipica losannese, dove anche se non si esce non é grave. Mi ascolto la musica da nebbia alta che ascoltavo a Losanne, Gravenhurst, Shearwater. 
Poi domenica sera mi faccio una passeggiatina per Sugar HIll, dopo 3 giorni passati in casa. Sento che ancora non appartengo a questa cosa, ancora dopo un anno. Sento che c’é violenza nell’aria, troppa elettricità, ci sono le macchine, i clacson, la gente che strilla. Mi rimbomba la testa. Ok, sono ancora un pò malato. Ma in questo momento sono estremamente felice di tornare a casa, nella mia terra, il Ticino! Sarà una roba infantile che mi porto dietro, o adolescenziale, una domanda che mi faccio da sempre, da quando sono partito per Losanna, da quando eravamo a Losanna prima di partire qui e da quando siamo qui a NY. E ora che abbiamo preso la decisione di tornare sono semplicemente felice di farlo, non me ne frega niente. Non mi interessa di quelli che pensano che torno dalla mamma, o che non son stato capace di integrarmi in un altra cultura, o blablabla. Ognuno pensi quel gran cazzo che vuole. Quello che sento, e lo sento forte, é che torniamo a casa!

Però ecco, abbiamo ancora due settimane qui e ce le godremo tutte, magari più come turisti che come lavoratori.Ticino arriviamo!