Lasciata la
sorprendente Denver e gli incontri fatti con le varie promesse di rivedersi e
risentirci, siamo partiti per le nostre vacanze. Anche prima eravamo già un po’
in vacanza ma stare a sentire parlare tutto il giorno, gestire public relations
con le persone interessanti e oltretutto con il mio fare impacciato prende un
sacco di energie. Questa esperienza dei congressi negli USA rimarrà un bel
ricordo, ho l’impressione che la gente sia più rilassata e veramente
interessata a quello che fai, mi sento paradossalmente meno criticato e
giudicato per quello che faccio qui che non in altri congressi in Europa. Qui
prima si ascolta, é poco importante che si parli un inglese perfetto,
l’importante é far passare la cosa, comunicare. Forse é anche il mio nuovo
statuto da postdoc alla Columbia che mi da già un’aria più interessante, in
ogni caso é stato davvero piacevole scambiare quattro chiacchere con sta gente
e spero di mantenere dei buoni contatti.
Dicevo
comunque che siamo partiti, in macchina da Denver, dopo la colazione al Denver
Diner dove stavo scrivendo l’altro post. La colazione esagereta é arrivata
proprio mentre stavo finendo di scrivere la scena vista il mattino precedente
dalla finestra dell’ostello. A partire da quell momento siamo partiti sulla
strada e la strada fa sempre viaggiare con la mente, con il corpo, si sente
macinare i chilometri e si prende la distanza necessaria da quel che si fa, ci
si vede dal fuori e ci si sente bene a fare questo esercizio. Entrambi scriviamo
di questi momenti che devono essere ricordati ed entrambi sappiamo che é
importante. Stiamo bene. La strada fa prendere distanza prima di tutto da NY,
che é il motivo per cui siamo qui, negli States. NY negli ultimi mesi era
umida, calda, trafficata, stronza, soffocante. NY gli ultimi mesi é stata dura
e a pensarci bene non ho (ancora) voglia di tornarci per trascorrere l’ultimo
mese e mezzo prima di tornare in patria. NY é stata una bella mazzata durante
questi mesi estivi, soprattutto per il clima orrendo e l’umidità. Sono anche
stati mesi strani, di partenze di amici con i quali NY si é vissuta in modo
speciale. In particolare il nostro compare Dario, con il quale ho suonato in
giro per la città e vissuto momenti indimenticabili, come indimenticabile é
stata la sua festa di partenza in un appartamento all’xxesimo piano di un
grattacielo di Long Island City, con una vista su Manhattan da togliere il
fiato.
Insomma ho
iniziato a scrivere di questi due giorni dopo Denver ma non mi riesce e mi
viene di scrivere di tutto quello di cui non ho mai scritto prima. Credo sia l’effeto di NY, o della routine, o della mia routine a NY. Le cose sono
assorbite e non si vedono piu, le cose perdono di importanza in fretta perché
c’é subito altro che segue, le piccole cose importanti sembrano diventare
superflue. NY fa mancare l’aria il nostro appartemanto di Harlem é diventato
quasi invivibile, mentre in questo momento sento il rumore di un trapano nel legno e di
donne che parlano, un venticello fresco mi fa venire qualche brivido, c’é
l’odore di camino e mi sto bevendo un vinello bianco italiano di cui mi son già
scordato il nome. Cose che a NY non ci sono, o che anche se ci sono non le
senti, non le vedi.
Dopo il Diner ci siamo diretti al Red Rocks Theater, a pochi
chilometri da Denver. Amici di
amici ci hanno consigliato di vedere questo posto. Le aspettative erano un
po`più alte, ma comunque si tratta di un posto e di un concetto straordinari. Questo
anfiteateatro é immerso nella natura ed é stato creato nel 1942, piazzato nel
bel mezzo di un anfiteatro naturale composto da rocce rosse emerse dalla terra.
La cosa più spettacolare dev’essere chiaramente vedersi un bel concertone qui,
come Neil Young o Jack White che ci han suonato qualche giorno fa (porca di
quella trottola). Ma anche vederselo così alla luce del sole rimane un posto
impressionante. Ricorda altri anfiteatri greci e romani, all’aria aperta, ma
qui é tutto americano e la maggior parte dei concerti é di musica folk-rock,
roba da motociclisti e vacanze in camper all’americana insomma. Quando
arriviamo noi é domenica mattina e al primo sguardo di sotto verso il palco vuoto
vediamo una mandria di sportivi che corrono in tutti i sensi: alcuni dall’alto
in basso, altri da destra verso sinistra, altri ancora fanno flessioni o tirano
calci volanti, altri ancora corrono con i cani: un delirio. Ne deduciamo che
ogni domenica estiva gli sportivi di Denver si ritrovano quassù per smaltire un
po di ciccia e che lo fanno perché qui siamo più un alto e che si fatica di
più. A noi sembrano solo una mandria di disperati. Contenti loro.
Dopo le red
rocks ci siamo diretti verso il Rocky Mountain National Park. Siamo stati due
giorni in un campeggio al limite del parco. Immersi nella natura la prima sera
sentivamo i concerti per intrattenere i turisti nella vicina Esters Park,
musiche pseudo indiane e folk-country che un po’cancellano la magia della notte
in campeggio. La prima sera non abbiamo fatto altro che montare la tenda,
accendere il fuoco nel bellissimo posto predisposto e cucinarci i nostri due
bell’hamburgeroni con tanto di pikle (cetrioli giganti ai quali siamo oramai
dipendenti), pomodoro, ecc. Intorno al fuoco, in mezzo al parco. Le stelle
piano piano appaiono, insieme al freddo e al silenzio. I concerti in lontananza
intanto son finiti. Ci piace stare fuori all’aria aperta, ci piace il fuoco, ci
piace dormire in tenda. Stiamo tutta la sera davanti al fuoco, pensando,
parlando. Ci sarebbe anche una conferenza del ranger alle 8.30, ogni sera ce
n’é una, ma chissenefrega, rimaniamo qui a guardare le stelle come non le
vedavamo da mesi, come non le avevamo mai viste. L’orsa maggiore non é allo
stesso posto che da noi. O sì ? Boh.
Dormiamo bene anche se fa freddo. In mezzo alla notte Aline
deve andare in bagno ed io pure. Ci vestiamo e ci avviamo verso il bagno che non é tanto lontano, ma é
lontanissimo con il buio della notte. Il ranger ci ha avvisato che ci sono gli
orsi neri, sono bassi, non sono grizzly, ma se s’incazzano possono romperti. In
case the black bear start to fight, fight back. E che gli faccio all’orso nero?
Gli tiro un calico nelle palle? La
cosa fondamentale é nascondere tutto il cibo in macchina, oppure nei bear box,
appositi contenitori a prova di orso in cui ci si può stoccare le cibarie. In
ogno caso non incontriamo nessun orso nella nostra passeggiatina notturna. E ce
ne torniamo a dormire con addosso uno strato di vestiti in più. Dormiamo secchi
fino alle 9 di mattina nonostante la luce sia già bella forte in tenda a quell’ora.
Il giorno dopo andiamo ad esplorare il parco. Ci dirigiamo
verso Wild Basin, una foresta con diversi “hike”, passeggiate più o meno
lunghe, con più o meno dislivello. Il sito ci é stato consigliato dalla tizia
che vende legna al campeggio, che vedendo il nostro equipaggiamento assolutamente inadatto al trekking ci ha dato
qualche consiglio su passeggiate più corte. Decidiamo di fare la passeggiata più corta, con vecchietti, bambini
e handicappati ciccioni che camminano più veloci di noi. Andiamo fino alle
Calypso Cascades, ben 1.8 miglia a piedi con una salitina. Anche qui si possono incontrare orsi e altri
animali simpatici tipo puzzole e orsetti lavatori. Per nostra fortuna non
incontriamo un bel niente. La passeggiata é proprio bella e segue un fiume. Incontriamo
4 ragazzi che pescano "a moscsa" nel fiume. Quanto vorrei poter provare a far due
tiri pure io. Ma ci sembra che
non prendono un bel niente. In ogni caso ci godiamo la passeggiata. I paesaggi
non sono molto differenti da quelli svizzeri ma c’é comunque una vegetazione un
po’diversa e molti alberi caduti. Il fiume crea delle cascate molto belle,
sembra di essere in un parco naturale americano. Ma vah ?! Tutto é bello é
in ordine, tutto é preservato, quasi fin troppo. Ci sembra assurdo come non si
possa calpestare l’aiuola fuori dal sentiero perché sennò la fauna ci mette
anni a ricostituirsi, o che all’interno del parco si facciano grandi interventi
per mantenere intatto il paesaggio e la vista originale per le migliaia di
visitatori che ogni anno passano di qui e blabla. Mentre invece non appena fuori dal
parco vi sono casette a schiera tutte uguali in stile pesudo finto svizzero ed
enormi, senza nessuna cognizione, senza nessuno gusto. Un pugno in un occhio.
La nostra passeggiatina continua fino alle cascate del Calypso, dove facciamo
un pic nic in compagnia dei soliti vecchietti che ci seguono in queste
vacanze. Respiriamo aria pulita e ci stanchiamo parecchio, siamo comunque a
circa 3000 msm e ci viene da bere molto, il sole picchia e il fiato corto si sente
subito.
La sera torniamo al campeggio dopo aver fatto scorta di cibo e dopo
aver mangiato i momo al ristorante nepalese in città. Siamo in un’altra
piazzola rispetto a ieri sera, la mattina abbiamo dovuto spostarci perché la
piazzola dove eravamo era già stata riservata. La nostra nuova piazzola é
l’ultima al confine del campeggio. Col calare della notte ci sentiamo sempre
più distanti da resto del campeggio. Abbiamo acceso il fuoco, giusto per il
gusto di farlo, e anche per scaldarci un po prima di andare a dormire.
Le stelle appaiono di nuovo insieme al buio e insieme alla paura della natura.
Ci preoccupiamo entrambi per l’arrivo dell’orso nero, dal boschetto sopra la
nostra tenda, continuiamo a guardarci in giro e a dirci a vicenda di smetterla di guardarci in giro. Quando
non si vede più niente si affinano gli altri sensi, si cominciano a sentire
rumori che non si sentivano prima. L’orso nero rappresenta la nostra paura per
una natura che non conosciamo, che ignoriamo. NY é solo cultura, a parte
l’illusione di natura a Central Park. Qui in mezzo al parco ci caghiamo
letteralmente sotto. Nel bel mezzo della notte Aline non riesce a dormire e
deve andare ancora in bagno. Questa volta invece di andare fino al bagno e
compiere il lunghissimo tragitto che ci separa al buio, optiamo per l’aria
aperta, fuori dalla tenda.
Intanto che scrivo tutto questo siamo all’ostello di
Gunnison. Nel salotto, seduta sulla poltrona un’altra ospite dell’ostello scrive
e legge anche lei al computer e ogni tanto sorride tantissimo, con un sorriso americano a 32 denti stampato in faccia. Avrà letto una mail
che la fa sorridere. Mi ricorda questo video. Ecco, quasi quasi preferivo l’orso
(che chiaramente, anche la seconda notte
non é mai arrivato) che il sorrisone gengivale di sta qui.