Il Flusso

The Map

Friday, August 24, 2012

Camping!

Lasciata la sorprendente Denver e gli incontri fatti con le varie promesse di rivedersi e risentirci, siamo partiti per le nostre vacanze. Anche prima eravamo già un po’ in vacanza ma stare a sentire parlare tutto il giorno, gestire public relations con le persone interessanti e oltretutto con il mio fare impacciato prende un sacco di energie. Questa esperienza dei congressi negli USA rimarrà un bel ricordo, ho l’impressione che la gente sia più rilassata e veramente interessata a quello che fai, mi sento paradossalmente meno criticato e giudicato per quello che faccio qui che non in altri congressi in Europa. Qui prima si ascolta, é poco importante che si parli un inglese perfetto, l’importante é far passare la cosa, comunicare. Forse é anche il mio nuovo statuto da postdoc alla Columbia che mi da già un’aria più interessante, in ogni caso é stato davvero piacevole scambiare quattro chiacchere con sta gente e spero di mantenere dei buoni contatti.
Dicevo comunque che siamo partiti, in macchina da Denver, dopo la colazione al Denver Diner dove stavo scrivendo l’altro post. La colazione esagereta é arrivata proprio mentre stavo finendo di scrivere la scena vista il mattino precedente dalla finestra dell’ostello. A partire da quell momento siamo partiti sulla strada e la strada fa sempre viaggiare con la mente, con il corpo, si sente macinare i chilometri e si prende la distanza necessaria da quel che si fa, ci si vede dal fuori e ci si sente bene a fare questo esercizio. Entrambi scriviamo di questi momenti che devono essere ricordati ed entrambi sappiamo che é importante. Stiamo bene. La strada fa prendere distanza prima di tutto da NY, che é il motivo per cui siamo qui, negli States. NY negli ultimi mesi era umida, calda, trafficata, stronza, soffocante. NY gli ultimi mesi é stata dura e a pensarci bene non ho (ancora) voglia di tornarci per trascorrere l’ultimo mese e mezzo prima di tornare in patria. NY é stata una bella mazzata durante questi mesi estivi, soprattutto per il clima orrendo e l’umidità. Sono anche stati mesi strani, di partenze di amici con i quali NY si é vissuta in modo speciale. In particolare il nostro compare Dario, con il quale ho suonato in giro per la città e vissuto momenti indimenticabili, come indimenticabile é stata la sua festa di partenza in un appartamento all’xxesimo piano di un grattacielo di Long Island City, con una vista su Manhattan da togliere il fiato.
Insomma ho iniziato a scrivere di questi due giorni dopo Denver ma non mi riesce e mi viene di scrivere di tutto quello di cui non ho mai scritto prima. Credo sia l’effeto di NY, o della routine, o della mia routine a NY. Le cose sono assorbite e non si vedono piu, le cose perdono di importanza in fretta perché c’é subito altro che segue, le piccole cose importanti sembrano diventare superflue. NY fa mancare l’aria il nostro appartemanto di Harlem é diventato quasi invivibile, mentre in questo momento sento il rumore di un trapano nel legno e di donne che parlano, un venticello fresco mi fa venire qualche brivido, c’é l’odore di camino e mi sto bevendo un vinello bianco italiano di cui mi son già scordato il nome. Cose che a NY non ci sono, o che anche se ci sono non le senti, non le vedi.
Dopo il Diner ci siamo diretti al Red Rocks Theater, a pochi chilometri da Denver. Amici di amici ci hanno consigliato di vedere questo posto. Le aspettative erano un po`più alte, ma comunque si tratta di un posto e di un concetto straordinari. Questo anfiteateatro é immerso nella natura ed é stato creato nel 1942, piazzato nel bel mezzo di un anfiteatro naturale composto da rocce rosse emerse dalla terra. La cosa più spettacolare dev’essere chiaramente vedersi un bel concertone qui, come Neil Young o Jack White che ci han suonato qualche giorno fa (porca di quella trottola). Ma anche vederselo così alla luce del sole rimane un posto impressionante. Ricorda altri anfiteatri greci e romani, all’aria aperta, ma qui é tutto americano e la maggior parte dei concerti é di musica folk-rock, roba da motociclisti e vacanze in camper all’americana insomma. Quando arriviamo noi é domenica mattina e al primo sguardo di sotto verso il palco vuoto vediamo una mandria di sportivi che corrono in tutti i sensi: alcuni dall’alto in basso, altri da destra verso sinistra, altri ancora fanno flessioni o tirano calci volanti, altri ancora corrono con i cani: un delirio. Ne deduciamo che ogni domenica estiva gli sportivi di Denver si ritrovano quassù per smaltire un po di ciccia e che lo fanno perché qui siamo più un alto e che si fatica di più. A noi sembrano solo una mandria di disperati. Contenti loro.
Dopo le red rocks ci siamo diretti verso il Rocky Mountain National Park. Siamo stati due giorni in un campeggio al limite del parco. Immersi nella natura la prima sera sentivamo i concerti per intrattenere i turisti nella vicina Esters Park, musiche pseudo indiane e folk-country che un po’cancellano la magia della notte in campeggio. La prima sera non abbiamo fatto altro che montare la tenda, accendere il fuoco nel bellissimo posto predisposto e cucinarci i nostri due bell’hamburgeroni con tanto di pikle (cetrioli giganti ai quali siamo oramai dipendenti), pomodoro, ecc. Intorno al fuoco, in mezzo al parco. Le stelle piano piano appaiono, insieme al freddo e al silenzio. I concerti in lontananza intanto son finiti. Ci piace stare fuori all’aria aperta, ci piace il fuoco, ci piace dormire in tenda. Stiamo tutta la sera davanti al fuoco, pensando, parlando. Ci sarebbe anche una conferenza del ranger alle 8.30, ogni sera ce n’é una, ma chissenefrega, rimaniamo qui a guardare le stelle come non le vedavamo da mesi, come non le avevamo mai viste. L’orsa maggiore non é allo stesso posto che da noi. O sì ? Boh.
Dormiamo bene anche se fa freddo. In mezzo alla notte Aline deve andare in bagno ed io pure. Ci vestiamo e ci avviamo verso il bagno che non é tanto lontano, ma é lontanissimo con il buio della notte. Il ranger ci ha avvisato che ci sono gli orsi neri, sono bassi, non sono grizzly, ma se s’incazzano possono romperti. In case the black bear start to fight, fight back. E che gli faccio all’orso nero? Gli tiro un calico nelle palle? La cosa fondamentale é nascondere tutto il cibo in macchina, oppure nei bear box, appositi contenitori a prova di orso in cui ci si può stoccare le cibarie. In ogno caso non incontriamo nessun orso nella nostra passeggiatina notturna. E ce ne torniamo a dormire con addosso uno strato di vestiti in più. Dormiamo secchi fino alle 9 di mattina nonostante la luce sia già bella forte in tenda a quell’ora.
Il giorno dopo andiamo ad esplorare il parco. Ci dirigiamo verso Wild Basin, una foresta con diversi “hike”, passeggiate più o meno lunghe, con più o meno dislivello. Il sito ci é stato consigliato dalla tizia che vende legna al campeggio, che vedendo il nostro equipaggiamento assolutamente inadatto al trekking ci ha dato qualche consiglio su passeggiate più corte. Decidiamo di fare la passeggiata più corta, con vecchietti, bambini e handicappati ciccioni che camminano più veloci di noi. Andiamo fino alle Calypso Cascades, ben 1.8 miglia a piedi con una salitina. Anche qui si possono incontrare orsi e altri animali simpatici tipo puzzole e orsetti lavatori. Per nostra fortuna non incontriamo un bel niente. La passeggiata é proprio bella e segue un fiume. Incontriamo 4 ragazzi che pescano "a moscsa" nel fiume. Quanto vorrei poter provare a far due tiri pure io. Ma ci sembra che non prendono un bel niente. In ogni caso ci godiamo la passeggiata. I paesaggi non sono molto differenti da quelli svizzeri ma c’é comunque una vegetazione un po’diversa e molti alberi caduti. Il fiume crea delle cascate molto belle, sembra di essere in un parco naturale americano. Ma vah ?! Tutto é bello é in ordine, tutto é preservato, quasi fin troppo. Ci sembra assurdo come non si possa calpestare l’aiuola fuori dal sentiero perché sennò la fauna ci mette anni a ricostituirsi, o che all’interno del parco si facciano grandi interventi per mantenere intatto il paesaggio e la vista originale per le migliaia di visitatori che ogni anno passano di qui e blabla. Mentre invece non appena fuori dal parco vi sono casette a schiera tutte uguali in stile pesudo finto svizzero ed enormi, senza nessuna cognizione, senza nessuno gusto. Un pugno in un occhio. La nostra passeggiatina continua fino alle cascate del Calypso, dove facciamo un pic nic in compagnia dei soliti vecchietti che ci seguono in queste vacanze. Respiriamo aria pulita e ci stanchiamo parecchio, siamo comunque a circa 3000 msm e ci viene da bere molto, il sole picchia e il fiato corto si sente subito. 
La sera torniamo al campeggio dopo aver fatto scorta di cibo e dopo aver mangiato i momo al ristorante nepalese in città. Siamo in un’altra piazzola rispetto a ieri sera, la mattina abbiamo dovuto spostarci perché la piazzola dove eravamo era già stata riservata. La nostra nuova piazzola é l’ultima al confine del campeggio. Col calare della notte ci sentiamo sempre più distanti da resto del campeggio. Abbiamo acceso il fuoco, giusto per il gusto di farlo, e anche per scaldarci un po prima di andare a dormire. Le stelle appaiono di nuovo insieme al buio e insieme alla paura della natura. Ci preoccupiamo entrambi per l’arrivo dell’orso nero, dal boschetto sopra la nostra tenda, continuiamo a guardarci in giro e a dirci a vicenda di smetterla di guardarci in giro. Quando non si vede più niente si affinano gli altri sensi, si cominciano a sentire rumori che non si sentivano prima. L’orso nero rappresenta la nostra paura per una natura che non conosciamo, che ignoriamo. NY é solo cultura, a parte l’illusione di natura a Central Park. Qui in mezzo al parco ci caghiamo letteralmente sotto. Nel bel mezzo della notte Aline non riesce a dormire e deve andare ancora in bagno. Questa volta invece di andare fino al bagno e compiere il lunghissimo tragitto che ci separa al buio, optiamo per l’aria aperta, fuori dalla tenda.
Intanto che scrivo tutto questo siamo all’ostello di Gunnison. Nel salotto, seduta sulla poltrona un’altra ospite dell’ostello scrive e legge anche lei al computer e ogni tanto sorride tantissimo, con un sorriso americano a 32 denti stampato in faccia. Avrà letto una mail che la fa sorridere. Mi ricorda questo video. Ecco, quasi quasi preferivo l’orso  (che chiaramente, anche la seconda notte non é mai arrivato) che il sorrisone gengivale di sta qui.

Thursday, August 23, 2012

La Forza della Natura



La paura é un emozione che si tende a nascondere, é sottovalutata, quasi ci si deve vergognare. Non si deve avere paura, si deve vincere sempre, avere di più, essere di più, arrivare per primo, accumulare, crescere, evolvere. Niente di più sbagliato.
In questi giorni in Colorado ho sentito la forza della natura, il suo ritmo. Il giorno e la notte sono imposti. Le bestie sono in giro e rappresentano altre cose, tutte dentro di noi. Il tempo che cambia improvvisamente, le nuvole diventano nere e di botto é notte nel bel mezzo della giornata. Il vuoto del Canyon come non lo si é mai percepito. Il cielo plumbeo e uniforme e poi ancora di un grigio infinito ed elettrico. Diluvia. Viaggiamo con la nostra macchinetta giapponese con le ruote lisce per le strade diritte, in mezzo a praterie infinite alle quali non siamo abituati. La pioggia a secchiate non cessa mai e la nebbia é fitta. Non é facile evitare di entrare in impnosi, il ritmo dei tergicristalli e le altre macchine e camion che sfrecciano nella corsia opposta. Ci si dimentica che si é una persona singola, ci si dimentica delle piccole cose, che l’albero di fianco alla strada é li da anni e la pioggia non lo spazza via, non bisogna temere due goccie, rilassati. Ma questo pioggia in questa distesa infinita é interminabile, non riesco a vedere dov’é la fine. Le nuvole scendono sulla terra e si scaricano senza sosta, una riserva d’acqua infinita che cade dal cielo.
In questi giorni la natura mi ha impressionato, mi ha spaventato. La paura é un’emozione fortissima, ancestrale. Nascolderla significa reprimerla, ignorarla. In questi giorni in Colorado abbiamo apprezzato la natura e dimenticato la cultura, dimenticato i ritmi stupidi che ci si impone da lavoratore per produrre la scienza e la conoscenza (ahé). Il ritmo della natura é il solo ed unico, non lo si può ignorare. Non si possono ignorare le stelle quando le si vedono, di nuovo dopo mesi che non le si vedevano. Non si può ignorare il buio più buio in mezzo alla foresta quando scende la notte. E non si può non pensare alle bestie che si aggirano per il parco nel cuore della notte quando si va in bagno in campeggio. Tutta la cultura creata dall’uomo in un colpo diventa una bazzecola in confronto. La natura ha una forza che ci dimentichiamo spesso e che andrebbe ascoltata e ricordata più spesso. La cultura dovrebbe più spesso ritornare ad ispirarsi a questa forza primaria invece che guardare a quello che é stato fatto dai predecessori, che anch’essi ignorano la forza della natura da generzioni. La natura é più spesso vera ed universale rispetto alla cultura, che é apprezzata secondo i gusti, altra invenzione dell’uomo.
Chiaro che la paura della natura non deve bloccare, non deve impedire di fare delle cose che davvero si vogliono fare. Ma é un’emozione che deve essere esplorata, sperimentata, esercitata. Non deve essere vinta, non può essere vinta, la natura avrà sempre la meglio sull’uomo.

Wednesday, August 22, 2012

Gunnison, oggi

...che sembra la città dei gunnis è in realtà... non lo sappiamo in realtà. Arrivati pieni di buoni propositi dopo aver attraversato gole di canyon, la steppa russa, un passo alla shining, riviere e runch da vero film western, dopo aver attraversato tutto questo ben di dio che ci offre quotidianamente il Colorado e arrivati nell'ostello wanderlust a Gunnison, beh ci siamo fatti una doccia e accucciati ai nostri computer, ai libri, nel salotto che sembra di essere a casa di un qualche amico talmente ci sentiamo bene, e per questo decidiamo di non fare niente. Niente. Di strofinare i piedi sulla moquette beige spessa un paio di centimetri, accasciati su un vero divano ci godiamo questo momento di puro relax e il far niente, o più che altro il riposarsi è sacro, e ci permette anche di conoscere gente che bazzica l'ostello, anche se a dire il vero ci sentiamo un pò associali, abituati come siamo a stare insieme noi due e non parlare per non dire nulla. È assurdo quanto ci sentiamo a casa, accolti da qualcuno che non conosciamo, e per concludere la giornata viaggio verso gunnison siamo andati a fare la spesa in macchina a mezzo miglio da qui (ci stiamo americanizzando ahimé) e abbiamo fatto la pastaaaa!!! come piace a noi, non come la fanno i finti ristoranti italiani. Ora, dopo aver cenato e discusso di mountain bike, australia, svizzera (un poco) e marocco con il nostro nuovo amico australiano, dopo aver mangiato la pasta e l'insalata, dopo queste piccole cose che aumentano il sentimento di casa, ognuno su una poltrona scrive, naviga, bazzica la rete. Per non fare nulla, per perdere tempo, per riallacciarsi con la realtà, con voi, per ritrovarci e ridimenticare, per buttar giù quelle impressioni tanto preziose che questo viaggio in Colorado ci stà dando. Viaggiare in macchina, girare questo stato che sembra piccolo ma in realtà é grandissimo (ce ne rendiamo conto ogni giorno dalle ore di viaggio che il nostro gps ci dice che dobbiamo fare), guardare i paesaggi, fermarci, guardare, ancora, e ascoltare, spesso il silenzio, che ci mancava. Oggi abbiamo visto delle città fantasmi inesistenti, le prime miniere d'oro, i resti delle miniere, e ci siamo accorti che questa storia ci interessa perché non l'abbiamo da noi, e fa parte di quel bagaglio culturale che film, libri e fumetti hanno trasmesso al vecchio continente. Una catasta di legna può raccontare molto, e ci siamo impressionati, forse per la prima volta, di fronte ad una storia vera americana. Forse, perché poi la fantasia galoppa e proprio non possiamo frenarla, e non che sia stata l'attrazione migliore, la miniera, ma la prima, dopo la foresta a new york dove forse la terra é stata comprata in scambio di qualche cianfrusglia. Quanto é strana la storia, e diversa dalla nostra. E più entriamo nell'america profonda più é assurdo ma anche vero. La gente è come è, niente mezze misure. Niente facciata, ma fa anche paura, come la televisione accesa di questa mattina durante la colazione a frisco che continuava a fare l'elenco di come l'america non funzioni per colpa di Obama, e che Romney é la soluzione. Io non so quale sia la soluzione, anche se tra questi due un'idea chiara ce l'avrei, ma é il lavaggio del cervello che fa paura, e in quest'america di dentro, la gente sembra tutta d'accordo su chi votare, e perché, e New York sembra una realtà tanto lontana.

Denver I


Lasciato l’hostel, ritirato la macchina e gps siamo ora in un diner, sempre a Denver, prima di partire per le Rocky Mountains per fare campeggio. Questa tournée di congressi tra Virginia e Colorado é stata intensa e emozionante dal punto di vista lavorativo. Qui a Denver soprattutto ho incontrato nuovamente un professore che ha ispirato parecchio la mia tesi. Andarsene in giro a sbevazzare a scrocco al congresso per il quale non ho pagato un ghello e ricevere un « text message » da Dale Dannefer mi ha dato una certa soddisfazione, visto che sono praticamente 5 anni che leggo tutto quello che scrive. Poi mi ha presentato ad altri grandi big nel mio campo e sentirli parlare tutti insieme é stata una grande emozione. Il congresso dell’America Sociological Association é immenso, ci sono circa 4000 sociologi che vi partecipano, ma all’interno si creano, come in tutti sti grandi congressi, dei piccoli mondi di interazioni dove é importante inserirsi e interessarsi. Altrimenti si torna a casa con niente di fatto. Poi il centro dive si é tenuto sto congresso é una cosa colossale, lussuoso, ascensori, scale mobili, camerieri, stanze per le presentazioni spettacolari, un lusso a cui non sono abituato. Denver sembra una città fatta apposta per cose del genere. Oltre a questo, Denver ci ha anche sorpreso in positivo, é una città dinamica e rilassata. Ci sono sti grandi palazzoni grattacieli, ma le strade sono larghe, si respira aria fresca, non c’é lo stress e la corsa, non c’é la massa di gente che c’é a NY. A parte i 4000 sociologi che sgambettano in giro per la città durante questi giorni. Anche la gente é simpatica e cordiale. Pure i barboni che si aggirano nel centro città danno un colorito buffo alla città, non sono volgari e ridono sempre sbronzi e strafatti.

8.30 di mattona. Siamo al 11th Avenue Hostel, un ostello grezzo dove si aggirano personaggi loschi. La nostra camera ha un odore strano, forse é il disinfettante che hanno usato per eliminare i bed bags, animaletti succhiasangue che ogni tanto si trovano in questi posti zozzi. In ogni caso la nostra stanza non é niente male, e non ci sono i bed bugs, forse appunto perché l’hanno disinfestata. La finestra da sul cortiletto interno dell ostello. Guardando fuori attraverso la grata due persone fumano, fanno una pausa dal loro lavoro. Un uomo vestito bene, pantaloni neri, camicia e cravatta con le maniche rimbocccate. Una donna in calzoncini e maglietta neri, con un cappellino. Entrambi sono concentrati sulla loro sigaretta, non si vedono tra di loro ma io li vedo entrambi. L’uomo é appoggiato al muro, al sole. La donna all’ombra, in piedi e fuma con più frenesia, come se avesse fretta di finire la sigaretta e tornare al suo lavoro. L’uomo invece é più rilassato, si gode i raggi di sole mattutino. Un terzo personaggio si aggiunge alla scena ; delle lattine volano per terra dal container, un barbone le sceglie dalla spazzatura per guadagnare qulche soldo. E il mestiere dei barboni per bene, quelli che fanno qualcosa per la società e che contribuiscono alla raccolta differenziata per qualche spicciolo da spendere in alcool. I due fumatori finiscono praticamente contemporaneamente la loro sigaretta, la buttano per terra e se ne tornano al lavoro, prendendo strade diverse. Rimane solo il tentennare delle lattine che atterrano per terra lanciate dal barbone, rimane solo questa scena da film, vista da un ostello da film, in un cortiletto interno che non può non ricordare un film. 





errata

Nel primo tragitto da New York a Chicago ho scritto sulla coppia di mormoni. Il giorno dopo ho parlato un pò con loro, e ignoranza vuole che gli ho chiesto se erano mormoni, per iniziare la conversazione in modo intelligente, pensavo. No, non sono mormoni, sono amish. Chiaro, a Chicago nel solito Star Bucks a scrocco per poter recuperare le ore trascorse senza internet, ho controllato, e quello che pensavo fossero i mormoni in effetti sono gli amish e viceversa. I mormoni li vediamo in giro anche in Svizzera, con il cartellino nero in giro ad evangelizzare, altro che taglio alla Robin Hood...

California Zepyhr


Siamo finalmente sul famoso California Zephyr, appena partiti da Chicago e già fermi da 10 minuti davanti a un fiumiciattolo dove i nostri compagni di viaggio vedono i pesci in controluce. O sono ratti?  Tanta gente che é su sto treno era già sul treno proveniente da Washington o su quello che ha preso Aline da NY. Gente che probabilmente fa sta cosa ogni estate, ex-hippy oramai pensionati con i nipotini, veterani di guerra o, da come dice la maglietta di una tipa grassissima con i capelli lunghi e grigi che a quanto pare é una sceneggiatrice, veterani di pace. Alcuni senza parti del corpo, ciccioni-handicappati che salgono sul treno per primi insieme alle famiglie con bambini, ciccioni che pretendono di essere andicappati e comandano la cena dal ristorante direttamente dal loro posto, vecchi con le magliette della cascate del Niagara o altri posti da turisti americani del genere, un ex-pilota che ora é professore di psicologia a cui tremano le mani, un vecchio motociclista oramai troppo vecchio per la moto e una ragazza cicciottella che giocano entrambi al solitario, su due tavoli diversi. Il controllore pure é abbastanza grosso e mi toccato dentro 2 delle 3 volte che é passato. Ha ripetuto per circa ottomila volte che il lounge da basso é ancora chiuso di non andare giù, che annunciano poi quando lo aprono, non andare giù per favore, once again il lounge é chiuso non andate giù. Quasi quasi volevamo fare un saltino a stocazzo di lounge. E molto interessante interessarsi a questa gente perché sono comunque americani atipici. Gente che passa dalla lounge panoramica e dice che qui é dove le rockstar si riposano, con su la maglietta dei Grateful Dead. E non si sa se spara palle o no ma ha girato con parecchie band, compresi i Greatful Dead, ma ora é in viaggio con moglie e figli.
Il treno é un posto socievole dove volendo puoi parlare per ore ed ore con gli altri. Specialmente in America dove vige il farsi i fatti propri, il treno invece é uno di questi posti dove é consentito socializzare, anzi si deve proprio. Siamo qui ancora fermi, il capotreno non sa più cosa raccontare. Ora il tizio che lavora al baretto sta descrivendo la lista di bevande che ci sono. Presto ci muoveremo, checcefrega, tanto arrivare a Denver un’ora più una meno non fa differenza per noi. Non sappiamo ancora bene dove dormiremo perché abbiamo scoperto in internet che in alcune stanze dell’Hostel dove avremmo riservato ci sono le bed bugs, degli insettini simpatici che se te li trovi a letto te li porti a casa e devi buttare via tutto.
Jack Kerouac prese questo treno per andare da NY a San Francisco e poi al Big Sur per scrivere l’omonimo libro dopo aver trascorso mesi di incubi nella casetta del suo amico scrittore con un nome italiano, in riva a un fiume in mezzo al nulla. Chissà cosa ha fatto Jack Kerouac a Chicago aspettando di salire sul California Zephyr. Magari é andato a ubriacarsi al baretto della stazione, o magari aveva già iniziato la sua cura di disintossicazione dall’alcool. “One fast move or I’m gone”, é un po’ l’idea che esce dal suo libro, una mossa veloce o son fottuto, una mossa verso Ovest per scrivere e liberarsi da quello che ti mette addoso quest’America. In ogni caso noi a Chicago siamo rimasti allo Starbuck con internet e con la puzza di caffé che ora che ci é rimasta addosso e sembra puzza di sigarette, non si sa bene perché. Non ce la facevo a visitare la città un’altra volta come ieri in poche ore e quando é arrivata Aline non c’era più abbastanza tempo per farlo. In ogni caso torneremo tra una settimanella circa e avremo tutto il tempo per visitare questa città.
Siamo ancora fermi a guardare sto fiumiciattolo dove a quanto pare ci sono dei pesci, o dei topi, e lo stare fermi non invoglia alla scrittura. Poi fa pure un freddo laser, e c’ho fame.
(Continuato a scrivere giorni dopo, a Gunnison).
La sera, poi, siamo andati a cena sul treno e ci siamo seduti con una coppia di signori che andavano a San Francisco a trovare loro figlio, sposato con un’indiana. Dopo un bicchiere di vino e dopo avergli detto chi siamo e che cosa facciamo, ma soprattutto dopo il bicchiere del vino che mi hanno gentilmente offerto, la signora é già ubriaca e il signore non se ne sta più zitto. La signora ci fa vedere con il suo nuovo smartphone le foto di suo figlio in facebook, con le orecchie da renna, probabilmente anche lui ubriaco. E poi le foto del matrimonio del figlio, che carini !! Il signore invece sembra proprio in gamba, anche se non se ne sta zitto. Una volta saputo che Aline ha girato dei documentari comincia a dirci i film che secondo lui dovremmo vedere, che li hanno visti al piccolo cinema di fianco a casa loro a Baltimora. Incredibilmente tutti i film che ci dice, più o meno nuovi, sono proprio i film che interessano a noi, sono già sulla nostra lista di film « to watch ». La situazione poi é degenerata, noi non facevamo che assistere passivi tra la moglie ubriaca con le foto del figlio, il treno che ti sballottola di qua e di la, e il signore inebriato dalla sua conoscenza in materia di cinema. Quando poi Aline ha detto che ha girato un documentario in Nepal abbiamo raggiunto l’apice dell’interazione, il signore avrebbe voluto vedere il film in quel momento stesso. In ogni caso glielo spediremo e se lo potrà vedere, se si ricorderà di noi. Ci dice che l’importante nella vita é di fare sempre le cose che ci piacciono. Lui aveva un lavoro che ha mollato per farne altro che ha a che fare con i diritti umani (non abbiamo capito bene). Ci ripete mile volte, come il capotreno, che nella vita si trova sempre il modo per cavarsela. Un po’il sogno americano rivisitato, o più realistico. Alla fine siamo praticamente i loro nipoti, ordinano tutti e due un dolce e ce ne danno più della metà a noi che ne avevamo ordinato uno in due. Ci risentiremo, sicuro, anzi, mo che mi ricordo li aggiungo a facebook. Anche il signore ha facebook, ma lui lo usa solo per controllare cosa fa sua nipote.
La notte sul treno é trascorsa con calma, il viaggio piatto e sereno e anche un po in salita e con qualche sobbalzo ci ha portato fino a Denver. Dove siamo arrivati con 5 ore di ritardo, ma questo é il treno, un altro modo di viaggiare.






Wednesday, August 15, 2012

15 agosto, New York -> Chicago

Seduta nella lounge cabin nel treno verso Chicago, basta fermarsi un attimo, sedersi e la gente appare, davanti a me, come in un film. Se mi avessero raccontato com'era prendere il treno per Chicago penso che non ci avrei creduto, o perlomeno avrei pensato che si trattasse di semplici generalizzazzioni, come sempre e che il circo c'è ma non bisogna esagerare. E invece no. Dopo una pausa di quaranta minuti per aggiungere tre vagoni al nostro treno, e tutti mi raccomando a guardare il congiungimento meccanico delle due carrozze,  finalmente anche il vagone lounge ha trovato il suo posto. Per lounge s'intende un vagone-bar dove si può leggere, mangiare, giocare ecc. Guardare il paesaggio. Visto che per una serie di coincidenze che tralascio mi sono beccata la vicina di posto alcolizzata, appena aggiunta la famosa carrozza lounge sono scappata. Con tutto, panini, libro, i pad, diario, macchina fotografica. Non si sa mai cosa abbia voglia di fare, nel dubbio prendo tutto. Piano piano la gente arriva. Prima una donna solitaria, un pò come me (domani con france ci troviamo a chicago per continuare e iniziare il viaggio insieme), poi un giapponese, tutto regolare. Poi tre amiche vecchiette, che fanno tenerezza e portano quell'esempio che uno si dice, anch'io voglio essere così alla loro età, andare in viaggio in treno con le mie amiche e sedermi nel vagone lounge e chiacchierare guardando il paesaggio. Ma fin qui ancora tutto regolare. Poi arriva la tizia vestita di rosa con il maglione nero con scritto pink quattro volte che si mangia l'hamburger riscaldato nella plastica nel microonde. Chiaramente ascolta l'ipod e non sente i rumori che fa con la bocca e la french manicure. Poi arriva un altro tizio, che sembra tranquillo. Anche lui, come me, non compra niente dal baretto e si mangia un panino homemade. Poi dopo un pò, prende da sotto il tavolo una valigia, la apre, e tira fuori una macchina da scrivere, enorme, e comincia a picchiettare scivendo chissà che capolavoro. Magari vuole fare come keruak e andare fino a san francisco credendo che è il treno ad aver creato un best seller e non la bravura dell'autore. Poi arriva il tipo infighettato con i capelli biondo platino, che continua a guardarsi nei vetri e controlla se la gente lo guarda. Chiaramente io lo stavo guardando, ma faccio finta di niente. Forse è albino e non tinto, ha il gilet e la cravatta con lo stesso motivo da tenda roccoccò. Poi davanti a me la donna intraprendente probabilmente scrittrice o sceneggiatrice, tira fuori mac, quaderni, caffè e scrive a matita, e mi da voglia di comprarmi un quaderno come il suo, e una matita, e magari un giorno scriverò qualcosa di decente pure io. E poi arrivano loro, la giovane coppia di mormoni, lui con i capelli stile robin hood a padella, che puzza di brutto ma perchè i mormoni mica mettono il deodorante. Lei bionda verginella con il cappellino bianco che copre i capelli, un vestito lungo blu molto clericale e.... un succhiotto al collo. Molto clericale. Lui che alla mano sinistra mancano medio, anulare e mignolo. La cosa assurda è che mi dico subito, ma davvero subito, che è normale, i mormoni tagliano la legna, fanno quei lavori che si facevano un tempo, e si sarà accettato via le dita lavorando duro in compagnia del papà e i dieci fratellini. Normale, quindi. È appena passato il fotografo del red rock, stivali da cow boy, pantaloni neri un pò attillati, camicia nera, gilet con ornamenti floreali in argento, orecchino, faccia seria un pò alla cantante dei metallica, capelli grigio scuro lunghi raccolti in un codino. Prima l'ho visto arrivare con una marea di zaini tecnici, cavalletti, porta riflettori e ogni volta, ma sempre, penso a cosa non mi sono portata e me ne pento. È come essere al cinema e vorrei fissare in un momento questa gente. Mi chiedo come sarebbe se la tele avesse accettato la mia proposta di fare un servizio sulla gente che prende il treno negli stati uniti. Ce l'avrei fatta a filmare questa gente? Forse è meglio lasciarli lì dove sono, e non farli parlare. Sono un miraggio davanti a me e con la loro semplice presenza raccontano storie. È assurda la vita, è tutto così fottutamente presente, in cerca di protagonista e io, a guardarli mi chiedo dove sono in questo gran circo che abbiam scelto di seguire. Ho appena visto passare la mia vicina di posto. Speriamo prenda una bottiglia d'acqua come prima e non un bianchino, se no sono fottuta, questa ben che vada canta tutta la notte, male che vada russa e mi vomita addosso. Vada per il canto. Appena arrivati a denver mi prendo il quaderno americano e la matita, almeno dopo ci sarà france a fianco a me, niente più sorprese (il capo treno a New York dice "today you will make new friends!" Oggi vi farete nuovi amici!). Troppi propositi, niente di concreto. In questi ultimi mesi ho l'impressione di essermi fatta scivolare addosso il tempo. Squisch. E neanche me ne sono accorta che potevo dirgli di andare piano con me, che devo capire in che senso prenderlo. Poi uno si direbbe, ma il tempo non è mai perso. È proprio perdendosi che poi nascono le migliori idee. Il fatto è che ho l'impressione che pure la mente si sia fermata. La vicina ha preso un caffè, bene. Mi sa che ha finito i soldi dati dalla canadese cafona per farla spostare di posto. Sarà che s'è accorta che mi da fastidio, sarà che ha acidità di stomaco. Sarà che è triste, chissà perchè. Mi ha detto che torna a casa, in California a Los Angeles dopo aver cercato di vivere a New York ma aver fallito, perchè la vita a New York è assurda, e troppo cara. Volevo dirle che New York è una città per ricchi, ma non gliel'ho detto e non so perchè. Credo di aver avuto paura che pensasse che fossi ricca, perchè all'inizio le ho detto che vivevo proprio a New York e che andavo a Chicago per vacanza. Quante storie inutili mi faccio. Forse in realtà a fianco a me c'è la più normale degli americani. Sola, che ha capito e fugge da tutto questo a modo suo. Che in più torna a casa o treno, tre giorni di viaggio per andare fino a Los Angeles, altro che chicago e denver. Le piace guardare il paesaggio di giorno, mi dice. Dovrei tornare là e parlare con lei. Il problema è che bofonchia e non si capisce niente di quello che dice perchè, appunto, è alcolizzata e parla, come tutti gli alcolizzati, con la bocca impastata dall'alcool. Mi sono venute in mente delle foto di un fotografo americano, ora tanto per cambiare non mi viene in mente il nome, dei suoi genitori alcolizzati a casa. La mamma che fa il puzzle (è una delle più famose), i genitori insieme. Il padre, magro, che beve. Mi sembra questo, e altro. L'america che conosciamo in europa attraverso i fotografi è tanto vera, poi bisogna viverla per capirla, ma abbiamo tutto davanti. Il padre dai tre figli strani passa da qui per la settima volta, almeno. Dice al controllore che suo figlio ha paura del buio e che non ce la fa con la carrozza buia, se è possibile di accendere le luci. Se continuo penserete che esagero.  Ma giuro, scrivo in tempo reale a ritmo della macchina da scrivere. Ma avranno fatto l'amore i due giovani mormoni? I tre portoricani, i più normali, giocano a scopa. Mi viene in mente un film di Jeunet e Caro, delicatessen. Mi immagino tutti impazziti alla fine della serata ridendo forte, tutti amici di prima, in una grande orgia. Mi accorgo che non siamo in un tunnel da mezz'ora, ma siamo in campagna e a quest'ora, le 8.43pm, fa buio. Ma fa buio pesto! Siamo in campagna, appunto. Non siamo più abituati al silenzio e al buio. Le stelle ci sembrano in mistero visibile solo nei film. Non vedo l'ora di essere in tenda e guardare le stelle. Ciao vacanze, stiamo arrivando.


Washington express


14.8.2012
Stamattina sveglia alle 7, check out veloce dal già mitico Budget Inn di Charlottesville “What kind of car do you have? “ “Ehm, I don’t have one”. Il taxista che mi ha portato dalla stazione al motel l’ho chiamato ieri ed é già fuori che mi aspetta per riportarmi in stazione. Ha lavorato tutta la notte e mo se ne va a dormire. Gli dico di portarmi al Blue Moon, un Diner vicino alla stazione, per una colazione come si deve prima della partenza. Entro ed é vuoto, il cameriere già mi sta simpatico non appena lo vedo. Ordino cereali con yougurt, miele e frutta fresca e un succo di mela. Poi vedo che comincia a selezionare dei dischi dalla collezione del padrone esposta sulle finestre e attacco bottone. Mette i dischi su un giradischi che suona fino a 6 dischi uno dopo l’altro. Il posto é proprio carino, un tipico diner con il cibo da diner e la gente da diner. Dal 1949. Il mio oramai amico barista é pure battersita, ha un figlio di 14 anni che ascolta solo musica su mp3 « the qualitiy is sooo bad » e non gli piace la California, preferisce i posti piccoli ma dove c’é un po’di vita, come Charlottesville. Che un po’assomiglia a Chiasso. Inizia anche con la « C ». Nel diner c’é musica live ogni sera, tranne le due sere che ero li io, quindi non mi sono perso niente. I musicisti viaggiano da sud verso NY e si fermano a fare una strimpelllata qui. Non so dove suonino perché il posto é piccolissimo, ma vabbé. Mi immagino la bella atmosfera che può esserci con musica live in un posto del genere e con la gente che se ne fotte di fare carriera in una grande city. E quindi con un certo qual fascino per il sottoscritto.
Lascio il diner e quello che pensavo fosse il mio nuovo amico del cuore mi saluta con un anonimo « safe travel » senza nemmeno guardarmi in faccia. Non mi abituerò mai. Come arrivo alla stazione arriva il treno. Il viaggio di un paio d’ore che con il wi-fi volano, scrivo mail e mi connetto a linked-in con la gente conosciuta al congresso con in testa l’idea old-style che conoscere gggente e rimanere in contatto può sempre servire, ma con la consapevolezza che non li risentirò mai più. Prima tappa del viaggio : Washington! Ho 4 ore per visitare la città : Washington express ! Lascio la valigia in stazione a un prezzo improbabile: 24 dollari per 4 ore. Lo sanno benissimo che ci sono treni che ti permettono di stare solo alcune ore in città e che devi per forza lasciare la valigia e quindi se ne approfittano. La hall principale d’entrata é spettacolare, non mi aspettavo una cosa così colossale, come spettacolari sono la maggior parte degli edifici sul campidoglio. Non ho letto niente, non me frega nemmeno tanto, ma dovevo fermarmi qui e quindi mi faccio sto giro. Mi dirigo verso il Campidoglio insieme all’ondata di turisti arrivati con il mio o un altro treno. Scatto milioni di foto. Un nero fuori dal parlemento mi chiede che cosa ne penso del matrimonio gay e io dico « why not ?». Gravissimo errore, questo inizia a farmi una teoria che si ci può stare ma che non é giusto che si possano sposare, non  é naturale insomma. Alla parola « naturale » già mi vengono i brividi ma lo lascio continuare. Comincio a pensare a un esempio per convincerlo del contrario ma il predicatore é lui e se non sta zitto un attimo. Mi viene in mente di dirgli che sai, prima era normale che le donne non votassero ora é normale che votano, le cose cambiano. Ma lui mi anticipa con un altro esempio : vedi quest’albero, questo possiamo chiamarlo macchina, o treno, o Svizzera, ma in realtà noi sappiamo benissimo che questo non é nient’altro che un albero. Dopo questa elucidazione aristotelica decido di lasciar perdere con il mio esempio sul voto delle donne e gli dico semplicemente che ho solo 2 ore per visitare Wahington, quindi devo andare, nice to meet e byebye.
Continuo in direzione casa bianca sotto un sole concente e verticale, portandomi dietro un sacco pesantissimo con dentro acqua, pc e macchina fotografica, perché non si sa mai cosa succede se li lascio in valigia. Sulla passeggiata verso l’obelisco che si scroge da lontano ci sono tutti i grandi musei di arte, di natura e quant’altro. Tutti predisposti come in un’antica città romana, colossali. Washington é una città razionale, tutta squadrata, con le ellissi, le vie mastodontiche, i palazzi immensi e anonimi. E una città di gente che lavora per il governo, quelli che si aggirano per la città con pantaloni, la camicia e la cravatta all’ora di pranzo con il cartellino con su la loro foto svolazzante. Ma chittelofafare di venire a lavorare in un posto del genere? Ma che gente é questa ? La mia prima impressione é che sta gente é di partenza molto ambiziosa, hanno esultato quando hanno saputo che avrebbero lavorato a Washington. Non é un posto per stare questa città finta, mi mette addosso tristezza. Non li giudico per carità, oguno é libero di fare e pensare quel che vuole. Quello che penso io oggi qui é questo, e quindi lo scrivo. Leggevo sulla guida che han deciso di construire Wahington, la gittà governativa, qui, in questo posto con un clima da schifo per far si che chi lavorasse al governo non volesse starci per sempre. Beh allora se é per questo ha funzionato.
Arrivo finalmente a sta cazzo di casa bianca, parlando da solo in inglese a voce alta e dicendo « Let’s go to the fucking white fucking house to take a fucking picture and then go fucking back, I know you’re listening to me” con in mente scene da film dove un pazzo cerca di far saltare un bomba alla casa Bianca. Purtroppo non succede niente, nessun poliziotto ambizioso di Wahington mi ferma per aver parlato a voce alta. Eccomi arrivato alla casa Bianca, le mille foto che guardavo prima in treno in internet sono mille volte meglio della realtà, non si vede una mazza. Faccio la mia foto demmerda e riprendo la via del ritorno.
Ho ancora un po’di tempo e tra il museo di storia natuale e quello dell’arte scelgo l’arte. L’information desk all’entrata mi fornisce una cartina e un foglio con le highlights per quelli che hanno meno di un’ora per visitare il museo. Perfetto! Senza nessuna audioguida mi dirigo verso ‘ste highlights, Van Gogh, “autoritratto”, Leonardo da Vinci “Genève qualcosa”, Cezanne “boh”, Rembrandt “ariboh”. Passo in media dai 30 ai 35 secondi davanti ad ogni dipinto senza nemmeno leggere il cartellino e faccio una foto di tutto quello che vedo che do biada a tutti i jappi che ci sono in giro. In mezz’ora ho fatto tutto, sono soddisfatto, ora devo magnà qualcosa sennò svengo. Vado al café e ci sono solo menu per gente che ha soldi e tempo, visto che non ho né uno né l’altro me ne vado. Chiedo a un tizio per strada dove posso farmi un paninozzo e mi dice « at the very end of that corner » e perché quello finto dov’é ? Mi rifugio al Deli gestito da cinesi, con messicani e neri che mangiano. Buffet caldo per pochi dollari pastame e verdurazze con un bell’Vitamin-Water al gusto di frutta mista. Sono soddisfatto. Faccio un paio di foto ricevendo lo sguardo perplesso di un nero fatto che é appena entrato. Torno in stazione, ho un’ora inizio a scrivere sta cosa nella hall centrale, sul bar rialzato, mi chiama Aline, mi bevo un té freddo non zuccherato, ritiro la mia valigia, compro acqua e colazione e mi imbarco. Il treno é il Capitol Limited un treno a due piani fatto di latta scintillante. Credo di essere simpatico alla capotreno che mi ha dato il posto vicino alla finestra. L’uomo alla mia destra pure mi sta già simpatico, penso che la moglie gli abbia proibito di portarsi dietro il computer e un po’mi invidia, ma forse no. Comunque siam partiti da 15 minuti e lui ha già cenato, checkkato il suo smartpohne 15 volte e ora dorme. E sono le 4.30pm. Io tra poco mi sparo la cena al ristorante del treno, se riesco perché ho appena sentito che forse bisogna riservare.